sabato 30 settembre 2017

La fotoceramica in un forno di bottiglie: un altro progetto visionario di Andrea Scarzello

"Non dire mai che i sogni sono inutili, perché inutile è la vita di chi non sa sognare." 
(Jim Morrison)


Andrea e Dietmar alle prese con la costruzione del forno di bottiglie.

Tony Graffio: Ciao Andrea, noi ci siamo conosciuti 3 anni fa quando tu e Carlotta viaggiavate su un van nero che era al tempo stesso un mezzo di trasporto, una camera obscura e un laboratorio per fare fotografie monotipe autopositive nelle piazze d'Italia e di Francia...

Andrea Scarzello: Il Vitographic, purtroppo ha avuto vita breve a causa di alcuni imprevisti burocratici che ci hanno privato del nostro bellissimo van, così ci siamo dati ad altri progetti creativi.

TG: Tu, tra l'altro sei un maestro stampatore che ha realizzato gran parte delle fotografie presentate dai giovani di talento del Gruppo HAR durante il Phototrace Festival 2017 di Cuneo.

AS: Sì, molti di loro si sono affidati a me perché ci conosciamo da tempo, so quello che vogliono e loro si fidano del mio modo di lavorare; il più delle volte prepariamo insieme i file da stampare.

TG: Oggi invece che cosa ci proponi? Qual'è il tuo progetto impossibile?

AS: Oggi sto preparando la fotografia a 1000°Celsius.

TG: Di cosa si tratta e come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?

AS: Ho voluto provare a realizzare la fotoceramica cotta in un forno autocostruito di bottiglie da birra di 33 cc. Già in altre occasioni ho preparato forni con bottiglie da vino; si tratta di forni che si costruiscono per rendere più spettacolare la cottura delle ceramiche durante sagre di paese e festival della ceramica. L'effetto che si ottiene è magico perché attraverso il vetro delle bottiglie si vede il fuoco che ondeggia all'interno del forno. L'idea di associare la fotoceramica ad un forno di bottiglie mi è venuta perché smontando il forno dopo l'uso (è monouso perché il vetro delle bottiglie si scioglie e si creano delle discontinuità nelle pareti del forno) mi sono accorto che le etichette delle bottiglie rimanevano impresse sulla terra che utilizziamo per tenere insieme le bottiglie. Al che, ci siamo chiesti se saremmo stati capaci di imprimere qualcosa di diverso da un'etichetta su una nostra ceramica. Abbiamo pensato, ovviamente, alla fotografia.

TG: Hai fatto delle ricerche in questa direzione e che cosa hai scoperto?

AS: Ho scoperto che con una tecnica di stampa molto semplice come la gomma bicromatata, in cui si utilizzano pigmenti di colore, avremmo potuto conseguire dei buoni risultati utilizzando pigmenti ceramici per avere un'immagine fotografica fissata sulla ceramica cotta.

TG: L'idea del forno di bottiglie invece da dove arriva?

AS: Terry Davies, un noto ceramista inglese, per primo ha pensato a questo tipo di forno che in qualche modo si rifà ai forni ceramici dei paesi più poveri dove vengono utilizzati materiali di recupero. Terry Davies ha studiato una soluzione che esteticamente fosse convincente e di forte impatto sul pubblico chiamato a partecipare a certi eventi. Io ho conosciuto il suo forno da alcuni servizi presentati su internet, me ne sono innamorato ed ho deciso anch'io di sperimentare in questa direzione. Ho costruito il mio primo forno, dopo di che ho iniziato un pochino a differenziarmi da Davies e aggiungere qualcosa in più, per non essere soltanto un suo emulatore. Adesso sono abbastanza soddisfatto del mio progetto, perché anche scenograficamente si presenta molto bene e quando raggiunge i 1000 gradi diventa molto luminoso. E' uno spettacolo imperdibile, non ci sono altri forni a legna altrettanto belli.

TG: In che anni è comparso il primo forno di bottiglie?

AS: Quello di Terry Davies nasce nel 2010, noi abbiamo iniziato le prime sperimentazioni nel 2014, realizzando il primo forno nell'estate del 2015. Prima abbiamo provato a casa nostra, dopo ho preparato un forno a Beinette, dove abitavamo prima di trasferirci qui, nella fiera di paese. L'ho proposto agli organizzatori solo per provarlo in pubblico; loro hanno accettato; lo spettacolo è piaciuto molto e da lì siamo riusciti a proporlo anche a Mondovì, dove si svolge un'importante fiera della ceramica. Poi, abbiamo continuato; quest'anno ci hanno richiamato a Mondovì e ogni anno cambiamo, tentando di introdurre ogni volta qualcosa di nuovo, per renderlo quasi più una forma di teatro che una performance di ceramica.


Andrea Scarzello rifinisce il finestrone che servirà ad estrarre le ceramiche e le piastrelle di fotoceramica.

TG: A cosa serve questo grande finestrone?

AS: Da lì togliamo i pezzi, una volta cotti. I pezzi vengono estratti mentre nel forno ci sono 1000° C.

TG: Il forno è monouso?

AS: Sì, è consigliabile utilizzarlo solo una volta, ma chi vuole provare a riutilizzarlo può farlo a suo rischio e pericolo.

TG: Che cosa può succedere di pericoloso?

AS: Può rompersi una bottiglia e se accade al collo all'interno del forno e la fiamma entra nella bottiglia questa può esplodere e sparare pezzi di vetro all'esterno con il rischio di colpire in faccia il pubblico o chi è nei dintorni.

TG: Ah caspita, mica simpatico...

AS: Sì, non è una cosa piacevole... Soprattutto in una manifestazione col pubblico, è meglio evitare che succedano certe cose.


Le bottiglie intorno al fuoco...

TG: Ho capito. Andrea, anch'io vorrei provare a fare il mio forno in questo modo, puoi darmi qualche dritta per ottenere buoni risultati?

AS: Bisogna utilizzare materiali di tipo industriale, gli stessi che vengono utilizzati per costruire i forni per fare il pane, in modo da spendere meno. Costruire un forno usa e getta con l'argilla che si utilizza per la ceramica verrebbe a costare troppo. I materiali industriali per l'uso che se ne fa una sola volta reggono bene. Ti consiglierei di fare una base di un quarto di sacchetto di cemento refrattario, un quarto di terra refrattaria, un quarto di malta refrattaria, mezzo secchio di sabbia, dipende dalle misure del secchio... Acqua; cemento normale per fare asciugare un po' velocemente l'impasto e basta, il tutto amalgamato bene tiene i nostri 1000° C. Tutto questo è importante, ma ciò che isola veramente è il vetro; la terra tiene tutto insieme e basta. Ovviamente, tutto è refrattario perché il cemento puro scoppierebbe e creerebbe dei problemi.

TG: In questo forno si può cuocere solo la ceramica o funzionerebbe bene anche per il raku ed il gres?

AS: Raku e gres fanno sempre parte della ceramica. In questo forno si possono cuocere solo terre refrattarie, quindi non puoi cuocerci le maioliche o le terre non refrattarie perché la temperatura scende molto dai mille gradi. Il raku va bene, ma il gres non risulterà mai molto resistente, proprio perché il raffreddamento del forno è troppo veloce. Far subire al gres uno shock termico fa di questo materiale un cattivo gres.

TG: Quanti forni di bottiglie hai realizzato fino ad adesso?

AS: Questo è il sesto.

TG: Hanno tutti funzionato bene?

AS: Fino ad ora sì, anche se a Mondovì abbiamo dovuto tenere la temperatura un poco più bassa per la richiesta di non produrre troppo fumo in piazza...

TG: Nonostante tu qui abbia tre forni pazzeschi a gas, per spettacolarizzare la serata  di domani in cui ci sarà una fantastica festa con tutte le persone più pazze di Cuneo hai deciso di costruire un ennesimo forno di bottiglie?

AS: Sì, ma questo è un altra cosa, è un gioco. Un divertimento che niente ha a che vedere con la ceramica tradizionale. Questo è più spettacolo che ceramica, anche perché il forno non riesce a contenere troppi lavori. E' una costruzione più da muratore che da ceramista. E' un po' come impilare un mattone sopra l'altro...

TG: Allora è più divertente costruirlo o farlo funzionare?

AS: Sicuramente, la costruzione dà parecchia soddisfazione, anche se è un lavoro piuttosto impegnativo; è bello portarlo in temperatura, ma anche smontarlo, perché ogni volta che lo si smonta si trovano bottiglie con il collo fuso in maniera diversa che diventano delle vere sculture di vetro. Ogni volta, quello che succede è una sorpresa.

TG: Le bottiglie fuse verranno messe all'asta o verranno regalate agli amici?

AS: Sicuramente, resteranno qua per un po' di tempo, perché non smonterò il forno subito. Normalmente, sì chiediamo un'offerta per ogni bottiglia in modo che chi le voglia portare a casa abbia un souvenir della serata. Si fondono in modo diverso a seconda della temperatura che si raggiunge nel forno.

TG: Quanto costa fare qualcosa del genere, ovviamente, escludendo la mano d'opera?

AS: Escludendo il mio lavoro e anche le bottiglie di riciclo, qui siamo intorno ai 300-400 euro, ma tieni presente che sto utilizzando mattoni refrattari già utilizzati precedentemente.


Il Forno che Skotta in piena attività.

TG: Che diametro ha questo forno?

AS: Circa 130 centimetri.

TG: Cosa possiamo dire in più sulle immagini che vuoi ottenere con la tecnica della gomma bicromatata stesa su ceramica?

AS: Le immagini che andremo a cuocere saranno diverse dalle solite fotoceramiche, perché sono cotte. Io le gomme avrei potuto stenderle sulle ceramiche senza cuocerle. Cuocendole invece io andrò ad aggiungere un velo di cristallina che mi farà ottenere delle immagini lucide come le piastrelle del bagno di casa. Per questo utilizzo un pigmento ceramico e non un pigmento qualunque.

TG: Credi che nel tempo siano andate perdute tecniche di fotoceramica o assimilabili a queste?

AS: Credo di no. La fotoceramica di un tempo era il collodio. Bastava sollevarlo dal suo supporto e trasferirlo su ceramica, però non andava in cottura. Forse non hanno mai pensato di fare qualcosa così, anche perché il risultato che si ottiene non è particolarmente preciso, né un'immagine definita e nitida, proprio perché la ceramica è una terra refrattaria molto porosa e ruvida. Si otterrà una fotografia che per qualche verso ricorderà la prima fotografia di Nièpce, però si tratterà sempre di un'immagine ottenuta dall'esposizione alla luce, cotta poi dentro un forno. Tecnicamente, oggi si potrebbe aggirare tutte queste complicazioni utilizzando una stampante a sublimazione alla quale aggiungere pigmenti ceramici, altrimenti diversi tipi di pigmenti, una volta nel forno brucerebbero e andrebbero via in fumo.

TG: Secondo te, si potrebbe fare la gumprint su fotoceramica?

AS: Probabilmente sì, essendo anche questa una tecnica in cui si utilizzano pigmenti che poi vanno trasferiti da un supporto ad un altro. Probabilmente, trovando il pigmento giusto da utilizzare le tue gumprint potrebbero essere fatte anche al forno.

TG: Ci proviamo?

AS: Sì, certo, mi hai incuriosito e ci proveremo.


Finiture speciali per il forno di Andrea, Dietmar e Carlotta

Il forno di bottiglie di birra è crollato: troppo limitato l'appoggio di malta per una costruzione così alta, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo per lo sperimentatore. Andrea sembra averla presa bene; di fianco a lui Dietmar e Christian de La Scatola Gialla

Il forno di bottiglie il mattino dopo la grande festa al Tetto delle Rondini.

Le piastrelle sulle quali erano state impressionate le immagini fotografiche non hanno sortito l'effetto desiderato a causa del crollo del forno; sicuramente Andrea prossimamente ritenterà il suo esperimento.

Tutti i diritti sono riservati


giovedì 28 settembre 2017

Giovani fotografi di talento a Phototrace 2017, quali speranze in Italia?

"Ci sono sempre più scriventi e meno scrittori. E' quasi implicito dire che ci sono sempre più fotografanti e meno fotografi." Roland Barthes

Io sono natura di Giacomo Calvagno
Io sono natura di Giacomo Calvagno

Oggi come oggi è sempre più difficile ricevere un compenso economico per ciò che si fa; chi scrive per i giornali come free-lance (vedi: collaboratori) spesso riceve cifre ridicole intorno ai 5 euro a cartella dattiloscritta, senza poi considerare che da queste cifre vanno tolte le tasse, i contributi, l'IVA, le assicurazioni mediche e tutto il necessario per tenere in vita una macchina statale onnivora che fagocita tutto e non ridistribuisce nulla, o quasi, in cambio. Ha ancora un senso lavorare in Italia? Ed ha ancora un senso svolgere un lavoro intellettuale? Evidentemente no, anche perché l'Italia non è interessata a crescere e a coltivare persone preparate culturalmente che possano avere delle idee importanti per rivitalizzare un paese agonizzante in cui Mafia, nepotismo, corruzione e ignoranza la fanno da padroni a tutti i livelli (specialmente quelli apicali). Le giovani menti valide vengono "invitate" a lasciare il Belpaese; allo stesso tempo si preferisce accogliere i disperati, coloro che venendo da situazioni impossibili accettano di buon grado quelle briciole che gli si concedono; è molto più facile gestire coloro che non conoscono le regole del gioco e sono facilmente sfruttabili, anche e soprattutto dalla malavita e dalle nuove mafie.
Non stiamo più vivendo soltanto in un continuo gioco al ribasso ed una sfrenata svalutazione del potere d'acquisto, ma in una realtà che vede mortificare e disattendere ogni possibile via d'uscita da una crisi conclamata di tipo: etico, morale, economico, culturale, sociale e demografico.
Parlare di scriventi e di scrittori, di fotografanti e di fotografi, in una realtà come quella italiana, trovo che sia non solo un modo abbietto per indicare chi non sa fare un certo lavoro, ma anche una precisa metafora per definire l'aspetto più triste di una società in cui non c'è più spazio per chi ha qualcosa da dire e dei sogni da realizzare. Ormai non c'è più contropartita economica in cambio di ciò che in troppi vogliono fare (anche perché non ci sono alternative...). Tutto è basato sulla menzogna in un paese in cui anche i sindacati sono collusi al potere politico e dove i mass-media si occupano di falsi problemi per distogliere i cittadini dalle loro miserie personali.
Se per i primi anni, il lavoro di un ricercatore scientifico, di uno stagista o di uno specializzando ospedaliero non viene pagato e forse solo in seguito gli si riconoscerà una specie di rimborso spese, come si può pensare che colui/colei che realizza immagini, scrive, suona, crea musica o si esprime per mezzo di altre arti venga retribuito?
La società attuale, grazie al facile accesso ai sistemi informatici che permettono di metterci in contatto con le idee di persone che vivono molto distanti da noi e all'automatizzazione/semplificazione di molti processi tecnologici, ha reso più popolari certi linguaggi e più comune la possibilità di utilizzarli, ma non ha saputo/voluto riconoscere alle masse il beneficio di fruirne in modo da poterne trarre un controvalore economico.
Viviamo davvero in un mondo libero e democratico se poi alla fine la vera selezione viene fatta solo dal denaro?
Chi dispone dei soldi per pagarsi le critiche benevole di uno Sgarbi, tanto per fare un nome qualsiasi noto a tutti, o per partecipare a fiere dell'arte (sempre a pagamento; per avere uno spazio alla MIA di Milano occorrono 4000 euro e generalmente questo è il prezzo richiesto anche da altri in Italia; in Francia ed in Europa si paga di più, ma c'è una maggior selezione) può sperare di ambire a far conoscere il proprio nome al pubblico e forse persino, un giorno, di vendere le proprie opere? 
Questo è un po' il preambolo di una situazione che ha visto di fatto la morte della fotografia commerciale e poche altre possibilità per un lavoro che il più delle volte viene pagato solo con promesse disattese e offerte di maggiore visibilità.
La responsabilità di questa situazione è un po' anche di chi ormai vive più nel mondo virtuale che in quello reale e si batte fino all'ultimo per guadagnarsi un like, o un +1, anzi che far rispettare i propri diritti.
Si perverrà ad una soluzione ragionevole prima che sia effettivamente troppo tardi per rimettere insieme i cocci di un mondo perduto? Difficile dirlo; nel frattempo i giovani fotografi nascono e crescono anche nelle zone un po' dimenticate dalle rotte della cultura tradizionale, dei festival fotografici più à la page e dalle fiere d'arte.
Merito di Phototrace è quello di essere arrivato dove altri non sono passati prima. Spero che un minimo di coerenza venga riconosciuta anche a "Frammenti di Cultura" che con il suo "Speciale Phototrace", in questi giorni, cerca di portare alla conoscenza di chi ha perduto questo fantastico evento indipendente (media nazionali inclusi) i nomi e le immagini di alcuni giovani di valore, in modo che si possa dar loro po' di speranza per un futuro che appare tutt'altro che roseo. 

Inizio una piccola carrellata tra i giovani fotografi, intesi anche come persone alle prime esperienze con la fotografia digitale, presenti a Phototrace 2017 alla sezione "Scrivimi" di Palazzo Samone, una sorta di biblioteca fotografica dove ogni autore poteva presentare sei fotografie per illustrare un racconto per immagini a tema pseudo-letterario.

Phototrace 2017 Scrivimi
Alice Faletto, 27 anni, lavora in un cinema multisala.

Alice Faletto ha preso spunto dalla parola "Scrivimi" per iniziare un suo breve percorso fotografico; ha associato questa parola ad un modo di dire che prevedeva un sapere scolastico di base legato al leggere, scrivere e far di conto. Poiché la nipotina della giovane fotografa ha da poco iniziato la scuola elementare, Alice ha pensato di immortalare la bimba mentre a casa faceva i propri compiti. Ober Bondi, coordinatore del Gruppo Har, ha dato un tema comune ai vari ragazzi che lo hanno svolto in modo personale, è interessante osservare come sia stato interpretato da tutti in modo diverso. Alcuni sono partiti dal ricordo della lettura di un libro, altri da una frase importante e c'è perfino chi ha inteso i segni lasciati dalle forze naturali come un modo di "scrivere" sulla roccia e l'ambiente circostante. Effettivamente, la scuola è il luogo dove si ha il primo contatto con la scrittura e l'alfabeto, ha fatto bene Alice a mostrarci questa realtà, riprodotta molto bene tra le mura casalinghe. Si tratta di scatti spontanei, rubati ad una bambina mentre svolgeva il proprio dovere di alunna delle scuole elementari. Soltanto le ultime fotografie della serie introducono un telefonino, elemento che è stato d'aiuto a distrarre la bambina dalla sessione di posa, ma al tempo stesso questo strumento tecnologico può anche essere visto come il presente/futuro di un linguaggio in evoluzione.

 Progettoalice di Alice Faletto

 Progettoalice di Alice Faletto

Scrivimi Phototrace 2017 Cuneo
  Progettoalice di Alice Faletto

Phototrace 2017 Scrivimi
Giacomo Galvagno, 30 anni, informatico.

Giacomo Galvagno è un appassionato della natura che lo scorso anno ha effettuato un viaggio in Islanda in solitaria e ne riporta splendide fotografie in bianco e nero, stampate da Andrea Scarzello. Era alla ricerca di uno scatto che sapesse sintetizzare lo spirito di un'isola in perenne cambiamento geografico, a causa delle eruzioni vulcaniche e dell'erosione dei fiumi; un modo anche di farci riflettere sulla transitorietà della nostra condizione e sulle forze della natura. L'Islanda è molto mutata morfologicamente a causa di una forte eruzione vulcanica nel 2004 che ha raso al suolo molti paesi ed è andata addirittura a modificare l'economia della nazione. L'acqua scrive all'interno del paesaggio la sua storia e lascia un segno indelebile, ma in continuo mutamento. Giacomo, giustamente, ha scelto di rappresentare il tutto in un bianco e nero alquanto drammatico che riesce a farci concentrare sulle forme di ciò che ha ripreso. Fotografie digitali realizzate con una Canon 7 Mark II con obiettivo sul quale sono stati posti filtri di contrasto di vetro e di base un filtro ND 1000 che permette di ottenere tempi di scatto lunghi anche in presenza di forte illuminamento, filtri degradé e polarizzatori.

Phototrace 2017 Scrivimi
 Io sono natura di Giacomo Calvagno

Phototrace 2017
 Io sono natura di Giacomo Calvagno

Phototrace 2017
Io sono natura di Giacomo Calvagno

Phototrace 2017 Scrivimi
Lorenzo Garro, 20 anni, elettricista.

Lorenzo Garro di Cuneo, 20 anni compiuti lo scorso lunedì 25 settembre, ha frequentato il corso base di fotografia del Gruppo HAR e da circa un anno e mezzo s'è appassionato a questa disciplina artistica/comunicativa. "Stop... giù le mani" è il progetto fotografico che ha realizzato durante il corso avanzato di fotografia di Ober Bondi. Si tratta di una fotostoria messa in scena grazie alla collaborazione di due amici-modelli e di una "collega"/truccatrice.
Quando ci si incontra va tutto bene e si è felici, ma dopo un po' si notano le prime avvisaglie dell'incomprensione e non sempre i problemi vengono affrontati in modo civile. Man mano la relazione peggiora ed il volto della ragazza si copre di alcuni segni blu che indicano tracce di violenza di coppia. Si capisce che non si sta con la persona giusta; dallo schiaffo si passa al pugno e la violenza aumenta fino a distruggere la relazione e la stima reciproca. Stefano Dutto e Gloria Revelli hanno fatto da modelli a questa brutta storia d'amore. Il racconto fotografico funziona benissimo ed il contenuto della storia è leggibile anche soltanto nel volto del ragazzo: un ottimo lavoro fotografico e perché no... pubblicitario. Tutta un'altra faccenda e un'altra sensibilità rispetto a quello che ha proposto Yamamay nel 2013 in una sua poco felice campagna pubblicitaria.
E' anche un modo di rappresentare il libro: "Splendi più che puoi" di Sara Rattaro che tratta un tema difficile, incessantemente alla ribalta delle cronache, che nel testo viene narrato in prima persona da una ragazza che subisce violenze sempre più gravi dal suo compagno, fino a quando poi reagisce e riesce a godersi la sua vita in modo più tranquillo. Ovviamente, con questo progetto fotografico Lorenzo propone di avere sempre rispetto per la persona che si ha al proprio fianco. 
Fotografie digitali effettuate con una Canon 750D, ottica fissa da 35mm f 2; riprese effettuate in interni, luce dura, molto contrasto, sfondo nero, un po' di post-produzione in Photoshop, perché i due soggetti sono stati ripresi separatamente, non perché litigassero, ma per evitare un eccessivo ammassamento dei modelli nella stessa inquadratura (insomma erano troppo vicini e così s'è potuto lavorare meglio...).
A volte, i fotografi sanno fare anche il trucco, come nel caso di Silvia Fea che, non soddisfatta delle elaborazioni delle vere truccatrici, ha saputo svolgere un ottimo lavoro. Nessuna donna è stata maltrattata per realizzare questo servizio.


Phototrace 2017 Cuneo
Stop... giù le mani! di Lorenzo Garro

Sempre all'interno della Sezione "Scrivimi", vorrei segnalare anche gli ottimi ritratti realizzati da Loris Salussolia e scritti con la luce in un superbo bianco e nero. Poi, l'originale e piacevole interpretazione de "l'Arte di correre" rappresentata da Gianni Chiaramello; i Portici in high key di Marco Villa; la contaminazione della fotografa/collagista Roberta Barale che ci ha fatto girare il mondo con uno stile molto femminile, allegro e leggero. Infine, un plauso anche alle affascinati Farfalle di Sergio Fea che forse ha affrontato una sfida un po' troppo coraggiosa per la poca luce presente sulla scena. TG


Phototrace 2017 Palazzo Samone
L'Arte di Correre di Gianni Chiaramello


Phototrace 2017 Scrivimi
Il giro del mondo in 80 spot di Roberta Barale

martedì 26 settembre 2017

Phototrace 2017: la parola a Ober Bondi e Gabriele Chiesa

"Non esiste la fotografia senza la cultura e non esiste la cultura senza la fotografia." 
Gabriele Chiesa

L'edizione del 2017 di Phototrace, giovane Festival della Fotografia Indipendente, è sicuramente una delle più riuscite e soddisfacenti, sia per la partecipazione di pubblico che per l'entusiasmo dimostrato dai giovani partecipanti, oltre che per la varietà di argomenti trattati. Numerose sono state le mostre, le dimostrazioni, le tavole rotonde, il divertimento generale e le offerte culturali che esulavano dallo stretto settore fotografico. Il tutto vissuto con un grande spirito di amicizia, budget ridottissimi, e tanta buona volontà.
Ho pranzato insieme agli organizzatori ufficiali di questo evento: Gabriele Chiesa e Ober Bondi; ne ho approfittato per intervistarli. Vediamo che cosa è emerso.

Tony Graffio: Ober, in che modo è stato deciso di portare Phototrace a Cuneo?

Ober Bondi: Phototrace Cuneo è nato perché sapevo che Gabriele Chiesa stava attendendo la nostra candidatura per quest'anno. Nel momento in cui ho accettato, Gabriele mi ha chiamato per affidarmi l'evento. Ho fatto questa scelta perché intorno a me avevo molti collaboratori entusiasti sui quali sapevo di poter contare. E' stato bellissimo. Quando ho chiesto a Gabriele che cosa dovevo fare per organizzare Phototrace, lui mi ha detto: "Niente, assolutamente niente, devi solo procurarci le sedi dove fare i laboratori, le conferenze e le mostre fotografiche. Poi, voi dovrete solo divertirvi.".

TG: E' stato così?

OB: Sì, è stato così. A noi piace organizzare e ne abbiamo approfittato.

TG: Infatti, ieri (22 settembre 2017) prima del concerto  di apertura di Phototrace che si è svolto nella sala della Cassa di Risparmio di Cuneo, ho sentito che voi avete ringraziato Gabriele per l'organizzazione, ma lui ha affermato di non aver fatto proprio niente. A questo punto non si spiega come sia andato tutto bene: lui non ha fatto niente; tu nemmeno, chi è che ha fatto qualcosa per questo evento?

(Risate)

Gabriele Chiesa: Loro sono stati meravigliosi; io sapevo che erano un gruppo molto valido e per questo desideravo portare il Phototrace a Cuneo. Intanto, bisogna capire che in una città metropolitana sarebbe stato dispersivo presentare un'offerta culturale come la nostra, perché ci sono già troppo proposte, mentre qua Phototrace sarebbe diventato un evento di una certa importanza, capace di attirare l'attenzione dei cuneesi e di chi viene da fuori città. Inoltre, so che Ober ha fatto crescere bene una comunità fotografica composta da giovani e appassionati che hanno voglia di fare e di condividere la loro esperienza ed il loro entusiasmo.

OB: Grazie.

GB: Ci erano pervenute candidature anche da città più grandi, ma io temevo che in certi ambienti potessero crearsi delle piccole invidie o gelosie che finiscono per creare delle competizioni controproducenti all'avvenimento che per noi è fondamentalmente una festa della fotografia tradizionale. Qui, c'era una certa armonia e collaborazione tra le persone che, secondo me, è anche la chiave del successo di un evento che è stato possibile realizzare proprio grazie alla dedizione ed all'impegno disinteressato dei volontari e degli appassionati che si sono occupati di tutto.

TG: Ober e Gabriele, da quanto tempo vi conoscete?

GC: Noi due siamo entrati in contatto tempo fa grazie ad un comune amico, Pierluigi Manzone, che vive qui a Cuneo e si occupa di fotografia steneopeica. E' anche un esperto conoscitore della storia della fotografia, in quanto è un collezionista e uno studioso dei fotografi piemontesi, fin dai tempi di Piero Becchetti, uno dei padri, ormai defunto, della storia della fotografia italiana. Becchetti ha iniziato a raccogliere immagini fin dai primi anni del secondo dopoguerra, quando a Roma c'erano ancora le rovine fumanti dei palazzi bombardati. Ha visitato mercatini, solai e cantine per raccogliere di tutto, dalle carte de visite, agli album di famiglia e varie altre fotografie.

TG: Si tratta di un'amicizia tra collezionisti?

GC: Io allora ero solo un ragazzino, ma lui era già un punto di riferimento.

TG: Che anni erano?

GC: Nel 1945, lui era già lo storico della fotografia italiana.

TG:  Avete avuto modo di conoscervi direttamente?

GC: Direttamente no, però lui per me è stato un esempio da seguire. Dopo di lui è venuto Ando Gilardi ed altri. Pierluigi Manzone, come me, è stato uno dei primi discepoli di questi personaggi in grado di capire il valore di  quelle che erano considerate le vecchie fotografie. Tra le mostre che ricordavano quei tempi passati c'è stata la mostra: "Cuneo, come eravamo"; "Vercelli di una volta"; "Brescia com'era"; dopo di che, anche in altre città hanno incominciato ad organizzare questo tipo di iniziative.

OB: Pierluigi Manzone aveva aperto un sito che si chiamava F.P.M., Fondo Pierluigi Manzone, che raccoglieva i suoi archivi fotografici; oggi rimane traccia di queste documentazioni in altri siti che hanno raccolto materiale  iconografico dal sito originario.

GC: Pierluigi Manzone ad un certo punto chiuse il suo sito, ma ormai era riuscito a trasmettere questo interesse a me ed ad altri ricercatori. Poiché siamo tutti collezionisti di questo materiale, inevitabilmente col tempo, siamo venuti in contatto gli uni con gli altri. Pierluigi mi ha parlato di Ober e così ci siamo sentiti. Lui è un entusiasta e tre anni fa è riuscito a convincermi a venire a Cuneo per conoscerci di persona. Era l'autunno del 2014.

OB: In quell'occasione Gabriele ha presentato qui a Cuneo il suo libro: "Come vedo l'immagine".

GC: Quello che forse Ober non sa è che l'idea di portare Phototrace a Cuneo è nata l'anno scorso sul Lago Maggiore, quando ho conosciuto sua figlia Vera, anche lei si interessa di fotografia.

OB: E' vero, avevo mandato mia figlia Vera Bondi in avanscoperta a Maccagno per vedere come funzionava il Phototrace, ma anche perché lei aveva ricevuto come compito dal liceo di Milano, dove lavorava, di vedere come poter realizzare un corso di fotografia a scuola. Poiché mia figlia era un'insegnante entusiasta (adesso è a Bogotà), voleva portare agli studenti qualcosa che non fosse il solito corso di fotografia, bensì la testimonianza di quello che sarebbe riuscita ad apprendere durante Phototrace.

GC: Vera ha partecipato anche alla realizzazione dei Fotoprofili ottenuti soltanto con la luce e la carta sensibile.

TG: La parte didattica è molto importante nell'ambito di Phototrace?

OB: Sì, quest'anno oltre a conferenze per addetti ai lavori presentiamo anche un laboratorio (tutte gli eventi di Phototrace sono gratuiti, workshop inclusi) in cui Christian Grappiolo guiderà i partecipanti alla autocostruzione di camere a foro stenopeico e alla sperimentazione di riprese fotografiche per le strade di Cuneo, all'affascinante e misteriosa ricerca dell'immagine assoluta da riportare nell'essenziale laboratorio allestito per l'occasione presso la sede di Progetto HAR. Una lezione di Alberto Novo, del Gruppo R. Namias, che spiega "La buona pratica del laboratorio chimico"; Loris Lazzeretti ha dimostrato come utilizzare le pellicole Impossible su un banco ottico 8X10; Gabriele Menozzi e Gabriella Martino hanno in programma una dimostrazione di Platinotipia e di come realizzare un negativo digitale; C'è anche un workshop sulla nuova Crisotipia di Mike Wire e, naturalmente, abbiamo già assistito alla tua spiegazione teorica di come si procede alla realizzazione di una stampa Gumprint.

TG: Gabriele, tu utilizzi le parole con molta attenzione, ma da adesso possiamo finalmente dire che il Phototrace è un festival di fotografia indipendente?

GC: Effettivamente, parlando con te, ho capito che Phototrace è un festival. Prima, era soltanto un incontro tra amici in cui si parlava e ci si divertiva a stare insieme. Poi, quest'incontro è diventato qualcosa che è cresciuto sempre più, fino a diventare abbastanza impegnativo da organizzare. Noi ci rifacciamo alla fotografia tradizionale ai sali d'argento, ma in realtà la fotografia non è solo quello e vengono utilizzati anche altri materiali. E' tutta una questione di sensibilità ed impressione; queste sono le cose che entrano in gioco. Il valore aggiunto di Phototrace, che spero non cambi mai da questo punto di vista, è quello che ha aggiunto Ober, ovvero l'interdisciplinarità. Ha dimostrato che la fotografia diventa veramente forte, espressiva ed intensa quando si fonde con altre arti.

TG: La fotografia riesce a trovare ispirazione e a dialogare molto bene con altre discipline artistiche?

GC: Sì, anche se queste sembrano apparentemente lontane, come l'espressione letteraria, teatrale o quella musicale. Tutte queste discipline hanno in comune qualcosa di magico che riesce a stregare il pubblico. Un buon fotografo è sempre una persona che ama il teatro, la letteratura, la musica e la cultura. Non esiste la fotografia senza la cultura e non esiste la cultura senza la fotografia.

TG: Quando tre anni fa sono venuto a Brescia per vedere come si svolgeva Phototrace ho notato che gran parte del lavoro organizzativo, se non tutto, passava per le tue mani, però credo di poter dire già da oggi che questa edizione di Phototrace si distingua dalle altre per la sua riuscita e che questo successo sia da imputare al grande lavoro collettivo dei volontari, dei partecipanti e di chi ha contribuito con il proprio apporto a questa festa. E' la partecipazione generale il segreto della buona riuscita di un evento di questo genere?

GC: Sì, io desidero con tutto il cuore che Phototrace diventi questo. Non deve essere il momento in cui le solite persone si ritrovano intorno ad un tavolo, ma l'occasione di far crescere un'idea e farla viaggiare, per condividerla con persone diverse, in modo che ognuno possa portare il suo piccolo contributo alla manifestazione. Sia come animatore che come partecipante o spettatore. Ci sono persone che sono venute fin qui da lontano, dalla Toscana, da Napoli, da Roma, da Torino, dalla Valle d'Aosta, da Genova, da Milano, da Brescia, anche solo per ascoltare quello che succede qui e sono loro le persone che animano Phototrace. Il nostro festival sta diventando veramente qualcosa di importante a livello nazionale.

TG: Mi dici due parole su come è nato Phototrace all'origine?

GC: Phototrace è nato nel 2012 dal desiderio di ritrovarsi e di conoscersi di persona da parte di coloro che erano iscritti ad un gruppo di Facebook: Storia della Fotografia, tra questi c'erano dei riferimenti importanti, come il Museo del Precinema della Collezione Minici-Zotti di Padova, e diversi sperimentatori col collodio, sempre di quella zona, abbiamo così pensato di incontrarci a Brescia, un po' a metà strada tra Padova e Milano. Dopo di che abbiamo pensato di ripetere l'esperienza con una cadenza annuale, cercando di dare all'evento ogni anno una sede diversa per valorizzare le risorse culturali del gruppo.

TG: Dove si terranno le prossime edizioni di Phototrace?

GC: Ci piacerebbe spostarci più a Sud; a Roma o a Napoli, però siamo un po' preoccupati di affrontare queste grandi città, perché io credo che le risorse migliori si trovino nelle città di provincia dove si può beneficiare di un contatto umano più diretto.


Phototrace Cuneo 2017
Gabriele Chiesa e Ober Bondi

mercoledì 13 settembre 2017

La Gumprint e l'Arte della Memoria di Tony Graffio in mostra a Cuneo per Phototrace 2017

"Il valore di un oggetto è direttamente proporzionale al suo significante storico." 
Vincenzo Agnetti

Phototrace 2017 a Cuneo
Ho deciso di partecipare a questo evento fotografico perché è una buona occasione per incontrare persone vere, appassionati di fotografia che credono in quello che fanno e pongono il loro lavoro e la loro ricerca davanti ai clamori delle ribalte mediatiche o all'inseguimento della popolarità, dove talvolta apparire è più importante che essere o fare.
In questi anni, la fotografia sta riscuotendo un grande interesse, spesso soltanto superficiale, tra le masse che poco hanno avuto a che fare con questa forma d'arte e di espressione e poco sanno. Abbiamo assistito a mostre di grandi autori che hanno cancellato tutto quello che gli stava intorno per imporre un loro "prodotto culturale" come si farebbe con un formaggino industriale, ma anche come un modo dominante di vedere la realtà. Credo che le espressioni più sincere della creatività e tutte le idee valide, anche quelle apparentemente più fragili, abbiano il diritto di circolare e di lasciare un segno o un'indicazione, soprattutto in un momento storico come quello che stiamo attraversando, in cui la globalizzazione dei mercati, della cultura e del pensiero sta velocemente appiattendo ogni cosa, lasciando pochi varchi alle voci fuori dal coro.
Phototrace è qualcosa di nuovo e controcorrente nella realtà culturale italiana, una specie di teatro che viene visitato soprattutto da un pubblico di attori e autori tecnicamente molto preparati che fanno delle loro abilità pratiche e delle loro conoscenze storiche un punto di orgoglio, in una scena che sempre più spesso è messa in moto soltanto da finalità economiche e di guadagno. A differenza di tante altre fiere, esposizioni e festival, a Phototrace non si paga per partecipare o per visitare le mostre, nonostante il livello dei lavori presentati sia estremamente elevato. TG


Stazione FMN Bovisa anni '80 Phototrace 2017 Cuneo
Bovisa Nord Milano anni '80 - Fotografia di Tony Graffio rielaborata con la tecnica della Gumprint


Gumprint
La stampa per trasferimento alla resina, conosciuta anche come Xerox Lithography, per brevità Gumprint o Gum Print, è una tecnica di stampa alternativa importata dal Nord America che può ricordare un procedimento di tipo litografico che si realizza per mezzo di una matrice di carta e si stampa in un torchio calcografico.
E' una tecnica che sfrutta le proprietà di vecchie fotocopiatrici con toner a polvere resinosa che si fissa alla carta con un procedimento termico. Queste stampanti, già ai nostri giorni, non sono di facile reperimento in quanto sono state soppiantante dalle più moderne stampanti a laser, non idonee alla realizzazione delle gumprint, perché le stampe effettuate con questa tecnologia non sono in grado di trattenere l'inchiostro tipografico come il toner resinoso.
La trasformazione della stampa della fotocopia in matrice di carta permette di ottenere non più di 5 o 6 stampe gumprint a contatto che poi dovranno essere selezionate, a seconda del risultato che ci siamo prefissati di raggiungere. Ogni foglio verrà stampato in modo diverso dalla matrice che si deteriora ad ogni schiacciamento impresso dal torchio, dalla pulizia effettuata con acqua e dalla manipolazione della stessa matrice; di conseguenza si avranno contrasti differenti nelle varie zone dell'immagine finale ed una qualità di stampa diversa per ogni opera prodotta per mezzo di questa tecnica. Nel caso si volessero ottenere più "copie" con le stesse caratteristiche da uno stesso soggetto è consigliabile preparare più stampe da fotocopiatrice che diventeranno, a loro volta, matrici delle relative gumprint, ma anche così non si riusciranno ad ottenere copie perfettamente identiche a quelle già realizzate. Per questo motivo, le stampe da gumprint sono considerate pezzi unici e non multipli.
La qualità delle gumprint è molto elevata ed ha caratteristiche di massima permanenza nel tempo, a seconda dei tipi di inchiostri scelti e della carta utilizzata. (TG da Scatti nel Tempo)

L'Arte della Memoria
Il tempo che passa conferisce un valore aggiunto ad ogni soggetto immortalato in epoche diverse da quella attuale. Ciò che un tempo esisteva ed era ardente può trasformarsi o scomparire definitivamente, ma la stessa idea di documento può cambiare nel corso degli anni, perciò ho voluto riesaminare oggi le immagini fotografiche che ho ripreso circa una trentina d'anni fa, utilizzando adesso una tecnica artistica relativamente nuova che mi ha aiutato a concentrami sugli aspetti essenziali della forma e del ricordo.
Sono partito da negativi in bianco e nero di piccolo formato e, dopo aver selezionato alcuni dei soggetti per me più significativi, ho voluto scansionare questi originali per trarne dei post-master ibridi da rendere in seguito ancora materici sotto forma di matrici di carta. Negli ultimi tempi, il dibattito generato dai sostenitori della fotografia analogica e della fotografia digitale ha riempito le pagine dei forum ed ha intriso i discorsi di fotografi, stampatori, curiosi e non addetti ai lavori, infiammando gli animi un po' di tutti. Mi è sembrato opportuno dare adito ad alimentare ulteriormente questa diatriba presentandomi a Cuneo, in occasione della festa della fotografia tradizionale ed antica, con alcune immagini realizzate con una tecnica mista che riesce a riunire in sé le anime della passato, del presente e forse del futuro, in modo da poter trattare ancora una volta, anche a livello di supporto, oltre che di contenuti, l'idea del tempo che passa che contraddistingue da sempre la mia poetica creativa.
Oltre ad esporre 10 stampe in gumprint, presso lo Spazio Chiodini di Gianni Chiaramello, in via del Passatore al numero 75, ho deciso di presentare una copia di uno dei soggetti esposti, sia come stampa digitale che in silverprint (stampato da Giancarlo Vaiarelli) per un totale di 12 opere, in modo da offrire al visitatore un giusto termine di paragone tra le varie tecniche. TG

Chi è Tony Graffio
Pseudonimo d'invenzione nato nel 2013 per accompagnare una ricerca iconografica sui graffiti che si affacciano sui muri di Milano, ha finito per figurare sui documenti ufficiali come identità reale e non più immaginaria. I veri dati anagrafici di Tony Graffio stanno scomparendo dalla burocrazia polverosa e anche dalla mente dei pochi che ne conoscono il vero appellativo, in quanto il curioso documentarista indipendente sta perdendo progressivamente contatto con il suo alter-ego originario e circola in ogni ambiente privo di passaporto o di qualsiasi altro attestato istituzionale. Milanese, temperamento sovversivo, autore dei blog: "Frammenti di Cultura" www.graffitiamilanoblogspot.it e "Orpho" www.ortodossiafotografica.blogspot.it, entrambi seguiti da numerosi lettori in Italia a e all'estero, sembra appartenere a diversi mondi culturali, forse per la sua instancabile volontà di continuare a raccontare e documentare quello che resta di saperi e arti di un passato quasi dimenticato e le tendenze di quello che si trama nei luoghi dove la creatività e le idee autentiche si allontanano dai sentieri tracciati dai portatori della cultura ufficiale. Egli stesso è uno sperimentatore di molte tecniche artistiche, a volte sceglie di giocare con mezzi e strumenti espressivi di ogni genere, spinto dalla necessità impellente di comparare metodi, stili diversi, e nuove possibilità estetiche. Ha una fantasia irrefrenabile che lo porta a vivere a mille all'ora, per testimoniare di storie incredibili e dar vita ad opere improbabili. Il suo profilo è davvero multiforme: può vantare abilità di vario tipo, conoscenze esoteriche, viaggi nel tempo e un'intensa attività nel campo dell'inutile; predilige le arti visive, il cinema e la comunicazione. Negli ultimi anni si è dedicato alla scrittura, raccogliendo un consistente patrimonio di materiale raccontato da protagonisti di alto livello che ha contattato e intervistato personalmente. Si dedica saltuariamente alla fotografia, passione mai sopita, per reinterpretare le immagini di un passato scomparso perché, come egli stesso sostiene, la documentazione è l'arte della memoria. EB

Compendio stampa Charta Matrix Phototrace 2017
Durante la mostra fotografica: "Scatti nel Tempo" sarà possibile richiedere a Tony Graffio, o allo Spazio Chiodini, il compendio per la stampa alla matrice di carta (Gumprint) in tiratura limitata numerata e firmata dall'autore. Il costo del libro è di 5 euro.



lunedì 11 settembre 2017

Gran Premio Janus Pannonius 2017

Gran Premio Janus Pannonius 2017 per la Poesia a Augusto de Campos

Gran Premio Janus Pannonius 2017 per la Poesia a Augusto de Campos PEN Club Ungheria


Il PEN Club ungherese lo ha reso ufficiale: il poeta brasiliano Augusto de Campos è il vincitore di questo anno del Gran Premio Janus Pannonius per la poesia. La decisione è stata annunciata durante il Concorso di poesia Quasimodo di Balatonfüred, Ungheria, venerdì 8 settembre 2017. Un premio internazionale di poesia contemporanea istituito dal PEN Club ungherese nel 2012 e "talvolta chiamato Premio Nobel per la Poesia", come afferma The New York Times; il Gran Premio è andato ad un elenco di poeti ampiamente acclamati: il lirico iraniano Simin Behbahani (2013), l'avanguardista americano Charles Bernstein (2015), la celebrità italiana Giuseppe Conte (2015), il versatile polacco Adam Zagajewski (2016), il bardo libanese di origine siriana Adonis (2014) e il maestro parigino Yves Bonnefoy. Il Gran Premio include la pubblicazione, le letture e 50000 euro. La cerimonia di premiazione si terrà a Pécs, dove Janus Pannonius (1434-1472), uno dei poeti più venerati del Rinascimento europeo, elogiato da Erasmo di Rotterdam stesso, era vescovo. Il Laureato riceverà il Trofeo Janus Pannonius e il Diploma di Janus Pannonius il 23 settembre 2017, nel Museo Csontváry di Pécs, seguito da un galà a Budapest il giorno dopo, completo di diverse aperture espositive, una conferenza data dal curatore di Getty Nancy Perloff, un lancio del libro della collezione ungherese di Campos, pubblicato per l'occasione, la lettura e le performace di poesia di Augusto de Campos e Cid Campos.

La giuria internazionale inoltre aggiudica, ogni anno, due premi Janus Pannonius per la traduzione letteraria, ciascuno di 3.000 euro. Nel 2017 i premi della traduzione vanno al poeta tedesco Hans-Henning Paetzke per le sue traduzioni della poesia ungherese in tedesco e ad Ádám Nádasdy per le sue poesie e le traduzioni drammatiche in ungherese.