lunedì 28 marzo 2016

Le professioni del cinema e della TV: il montatore

Particolare di una moviola bipasso Intercine 16mm e 35mm

Il racconto di Giorgio Bertone sulla registrazione video magnetica è piaciuto moltissimo al pubblico di “Frammenti di Cultura”; io che avevo già intenzione di occuparmi delle varie figure professionali del cinema, avevo iniziato a parlare di questi argomenti dall'intervista che avevo fatto ad Emanuele Bonapace, un tecnico che si dedica all'acquisizione ed alla gestione dei file digitali nelle moderne produzioni di cinematografia digitale. Volevo capire se era vero o no che i dati relativi alla registrazione magnetica di vecchi programmi televisivi, trascrizioni di filmati in 8mm, 16mm o 35mm su nastro magnetico, o su file digitale e le moderne riprese ad alta, o altissima definizione, in futuro saranno a rischio di “evaporazione” dai supporti usati, oppure se si può fare qualcosa per tutelare il patrimonio storico, culturale ed artistico del lavoro prodotto da fotografia, cinema e televisione.
Visitando la ex-PlayVideo di Felice Quaquarella ed il reparto RVM della Rai di Milano ho capito che la situazione non è poi così drammatica come si potrebbe pensare in un primo momento e che affidandosi a professionisti di lungo corso di questo settore (spesso già oltre i limiti della carriera lavorativa) si può perfino pensare di riuscire a recuperare nastri magnetici che sembrerebbero inutilizzabili. Bisogna però ricorrere a pulizie manuali con prodotti chimici speciali, ricerca di registratori particolarmente adatti allo scopo, conoscenze tecniche ormai più che desuete ed ad altre soluzioni conosciute solamente da chi da tanti anni si occupa di queste problematiche, segreti che tra l'altro non sempre è facile trovare chi è disponibile a divulgare (specie se ha ancora in corso un'attività commerciale).
La filosofia dei tecnici delle generazioni più giovani sembra essere molto più pragmatica, non hanno tanto tempo da perdere, non sono intrisi di sentimentalismi verso cose di cui raramente hanno sentito parlare e spesso si affidano in modo un po' troppo acritico a quanto gli viene detto dai rappresentanti di marchi di apparecchiature tecniche che hanno più interesse a vendere il nuovo che a rigenerare il vecchio. Spesso, si sente dire che una certa cosa non si può più fare, o che bisogna perennemente restare aggiornati passando da ogni stadio evolutivo, con il rischio reale di perdere immagini e documentazioni irripetibili.
Ritenendo i tecnici ed i professionisti della Rai più affidabili dei tecnici che per forza ti offrono un servizio a pagamento, o che comunque ti vogliono vendere qualcosa, e comunque il loro lavoro è sotto gli occhi di tutti, esperti e non. Sono tornato ad intervistare un dipendente della Rai di Milano per capire qual'è il ruolo del montatore cinematografico, in che cosa consiste questo lavoro e che consigli si possano dare ad un giovane che intende intraprendere questa carriera, non soltanto per migliorare alcune soluzioni teoriche o pratiche, ma anche per trasmettere a queste persone un'idea di continuità storica e di appartenenza professionale con ciò che avevano fatto coloro che li hanno preceduti. TG

Moviola Intercine bipasso

Tony Graffio intervista Walter Bellagente, l'ultimo montatore cinematografico della Rai di Milano

Tony Graffio: Ciao Walter, sono venuto qua da te nella tua saletta di montaggio per parlarti e chiederti alcune cose riguardanti il tuo lavoro e la tua lunga carriera, poiché mi hanno detto che tu sei l'ultimo montatore, qui alla Rai di Milano, che è partito dalla pellicola per poi continuare il tuo lavoro con le più recenti tecnologie elettroniche. Ti anticipo che ho molte cose da chiederti.

Walter Bellagente: Ciao Tony Graffio, ti hanno informato bene, sono un po' l'ultimo dei dinosauri, chiedimi pure cio’ che vuoi.

TG: Intanto volevo sapere come ti è capitato di fare questo lavoro, in genere non succede per caso, bisogna avere un bel po' di passione. E' capitato così anche a te?

WB: Diciamo che fin da ragazzo ho avuto la passione per il cinema, all'inizio ovviamente come spettatore, poi come appassionato che già ai tempi delle scuole superiori ha iniziato a bazzicare il mondo del cinema a Milano che non è il cinema vero. Per carità, a Milano si sono sempre fatti soprattutto i documentari industriali ed i cosiddetti “caroselli”, la pubblicità, mentre la cinematografia più narrativa si fa a Roma.

TG: Tu sei nato a Milano?

WB: Io sono nato a Milano nel 1956 ed ho sempre vissuto in questa città. Non avevo nessuna voglia d'andare a Roma, per cui sono rimasto qua. Ho frequentato i vari studi dove si svolgeva attività cinematografica, lavorando all'inizio, part-time perché all'epoca studiavo ancora...

TG: Tipo la Gamma Film?

WB: Erano altri studi più piccoli che preferisco non citare, comunque ho fatto varie cose, ho iniziato facendo l'aiuto-assistente operatore, poi ho fatto l'assistente operatore e nei momenti morti in cui non c'era da fare delle riprese negli stessi studi c'erano anche le sale di montaggio con le moviole. Ho iniziato a vedere come funzionavano le moviole guardando lavorare i montatori, anche perché il mestiere del montatore è un mestiere che si ruba, esattamente come si ruba il mestiere del sarto e tutti questi mestieri fondamentalmente artigianali. Sono andato avanti facendo questi lavoretti da free-lance fino a che nel 1979, con l'avvento della terza rete, ho saputo che in Rai c'erano dei concorsi per selezionare il personale, perché in Rai fino ad una ventina d'anni fa si entrava solo per concorso. Io ho partecipato a quel concorso e con soddisfazione sono entrato come montatore cinematografico-televisivo. All'epoca esisteva solo quello come montaggio in Rai, parliamo di pellicola, naturalmente. Quando sono arrivato io il reparto RVM in Rai esisteva già, ma era proprio agli albori e comunque RVM e montaggio cinematografico erano due cose diverse. La selezione che ho fatto io non era una selezione attitudinale, ma era una selezione professionale, ciò vuol dire che la selezione era abbastanza severa ed era a sbarramento, se non passavi una prova non potevi accedere a quella successiva. Il primo esame prevedeva una prova scritta, e lì c'è stata la prima scrematura, dopo di che c'era un esame orale ed alla fine, da una quarantina dell'inizio, siamo rimasti in sei ad affrontare l'esame pratico, andando in moviola a montare un pezzo. Mi ricordo ancora che era un pezzo girato ad arte con degli errori tipici che possono capitare nel cinema e che un montatore capace deve subio riconoscere e correggere.

TG: Tipo scavalcamenti di campo?

WB: Sì, scavalcamenti di campo e piccoli trucchetti che potrebbero trarre in inganno chi non è del mestiere.

TG: Era un girato che andava rimontato?

WB: No, era un girato di circa 600 metri di pellicola dal quale bisognava ricavare un mini-sceneggiato. La storia era semplicissima: un ragazzo ed una ragazza andavano in gita sul fiume con la macchina, poi i due litigavano e lei se ne andava. Tutto qui. Però era cinema.

Nuclei colorati per pellicole e perforati magnetici 16mm

TG: In 16mm?

WB: In 16mm, sì, esattamente. Io ho fatto bene il mio montaggio, ho passato la selezione e da lì mi hanno chiamato a lavorare nell'ottobre del 1979. Il primo giorno mi hanno fatto fare un giro dell'azienda per farmi capire dov'ero e farmi conoscere i miei capi ed i miei colleghi, ma già dal secondo giorno io ero operativo ed ho montato un pezzo che è andato in onda. Questo è quello che è capitato a me, ma è stato così anche per i vari operatori che sono entrati in Rai fino a qualche tempo fa.

TG: Sei stato contento di lavorare per la Rai? Hai trovato delle differenze nel modo di lavorare cui eri abituato prima? Come t'è sembrata questa azienda?

WB: Beh, sì, chiaramente sono stato soddisfatto di lavorare per la Rai anche perché questo significava avere un posto di lavoro sicuro, ma al di là di questo, ho trovato fin da subito la possibilità di continuare a lavorare in un campo che mi interessava e di fare cose anche belle. Io sono entrato come montatore delle reti televisive, non del telegiornale, perché questa è una divisione aziendale. La categoria è la stessa, ma siamo divisi operativamente in modo che c'è chi segue la produzione televisiva e chi lavora per le news. Può capitare che durante il periodo estivo ci chiedano di sostituire qualche collega dell'altro reparto, oppure di sostuire un collega malato, ma normalmente ci occupiamo solo dei lavori che riguardano il nostro reparto.

TG: Operativamente ci sono differenze? Chiaramente, per il montaggio delle news bisognerà lavorare in tempi più stretti, mentre per i lavori delle reti si curerà un po' di più la qualità del prodotto finale, è così?

WB: Dipende da quello che tu fai, perché anche per le reti si montano le news, io ho lavorato per 20 anni con un signore che si chiamava Enzo Biagi, quindi di news penso di averne fatte anch'io, ma limitiamoci al periodo della pellicola, perché se poi parliamo anche dell'RVM complichiamo un po' il discorso. In effetti i veri lavori per le news li ho fatti con le macchine RVM. Effettivamente, quando lavoravo con la pellicola non facevo le news e coloro che montavano i pezzi del telegiornale avevano problemi di tempi stretti perché allora la pellicola prima andava sviluppata e si lavorava con l'invertibile. Ricordo che qui a Milano avevamo un laboratorio di sviluppo e stampa interno che era tra i migliori al mondo, se non forse il migliore, in quanto rispettava alla perfezione le curve sensitometriche che ci inviava la Kodak da Rochester e non esitava a sostituire i bagni di sviluppo prima che si esaurissero. Con l'invertibile (usato per i TG) bisognava fare molta attenzione a non rovinarlo graffiandolo o in altro modo, perché era una pellicola unica ed insostituibile. Non era una copia, come capitava per le lavorazioni degli sceneggiati e dei documentari. Forse adesso chi non ha esperienza di montaggio in pellicola si dimentica che c'è un contatto fisico con questo supporto. La pellicola bisogna prenderla in mano per lavorarla, per questo si utilizzava una copia di lavorazione e poi alla fine si ristampava un'altra copia definitiva. Lavorando in invertibile, cosa che capitava spesso, bisognava fare la massima attenzione nel maneggiare la pellicola esattamente come si fa con i negativi fotografici. Per questo si usano i guanti bianchi di cotone e tutto il resto.

TG: Alla tua selezione, in quanti siete risultati idonei per fare questo mestiere?

WB: Soltanto in due.

Quel che resta delle moviole in dotazione alla Rai di Milano si trova in una stanza attigua a dove fino a 30 anni fa si trovava il laboratorio cinematografico della Rai di Milano. Sembra che nuove moviole dovranno essere acquistate, in previsione che il Centro di Produzione di Milano si doti di un telecinema 4K per riversare gran parte del materiale di repertorio su pellicola che ancora non è stato digitalizzato.

TG: Come montatore cinematografico avrai avuto un assistente, è così?

WB: Sì, avevo l'assistente, anche se io devo dire non l'ho mai utilizzata troppo. All'epoca ero abbastanza giovane, per quanto riguarda i mondo della pellicola ed ero abituato a lavorare abbastanza in autonomia. Certo, l'assistente era molto utile quando si facevano lavori complessi. Quando montavo i grandi documentari di Enzo Biagi che partivano con materiale di repertorio del 1943 e dintorni, parliamo di 10 puntate di un'ora ciascuna si aveva a che fare con tanto materiale e tante interviste, in quei casi l'assistente che aiuta a classificare il materiale, a tenerlo in ordine ed ad aiutare la mia memoria per poi pescare il pezzo giusto quando serve, è indispensabile.

TG: L'assistente che cosa faceva esattamente? Metteva da parte i rotolini di pellicola e te li passava quando servivano?

WB: Il montaggio cinematografico era ed è ancora un lavoro manuale, anche se penso che non venga più fatto in moviola da nessuno perché poi montano tutti in Avid, Final Cut o Da Vinci, anche se girano in pellicola. Il lavoro consisteva nel mettere insieme una parte visiva ad una parte audio, una pellicola e un nastro perforato magnetico, quindi audio e video viaggiavano separatamente. La prima cosa che doveva fare l'assistente quando aveva il materiale era mettere a ciak, o in sincrono l'audio ed il video prendendo i fotogrammi sui quali si vedevano il famoso ciak, se c'era, altrimenti bisognava andare a occhio, cosa a cui eravamo abbastanza allenati, sia gli assistenti che noi montatori. Una volta che si era fatta questa operazione lo si visionava insieme al regista e coinciavo, a quel punto, a selezionare le varie inquadrature che mi potevano servire. Fisicamente, si estraeva il rotolino di pellicola dell'inquadratura da punto a punto, la si avvolgeva e la si metteva su un carrello numerandolo con la matita dermografica. Il compito dell'assistente era quello di ricordarsi dove era stato messo il rotolino nello scaffale. Potremmo dire che l'assistente era un po' una specie di bibliotecario. Man mano che si lavorava si recuperavano le scene e le si montavano in sequenza e poi si decideva come effettuare il montaggio.

Un banco di ribobinamento usato per la pulizia delle pellicole dalle cosiddette "passafilm"

TG: Sentivo anche parlare di “passafilm”. Chi erano le passafilm?

WB: La passafilm non è nient'altro che una dizione volgare per l'assistente al montaggio. Coloro che non facevano assistenza al montaggio, oppure, mi ricordo che da noi c'erano un paio di signore che facevano solo quello, verificavano le giunte. Prima abbiamo parlato dell'invertibile, la pellicola si giuntava con la “Catozzo” che era una pressa italiana che utilizzava uno speciale nastro adesivo molto tasparente e di ottima qualità per attaccare due spezzoni di film. Tagliava e contemporaneamente perforava lo scotch. Quando si lavorava, ovviamente si faceva la giunta da un lato solo della pellicola, mentre dopo un assistente libero dal lavoro o della passafilm ripassava tutte le giunte e faceva una doppia giunta anche sull'altro lato della pellicola, in modo da rinforzare la pellicola, prima di mandarla al telecinema. L'altro lavoro tipico delle passafilm era quello di passare col velluto morbido imbevuto di alcool isopropilico per togliere i pelucchi e la polvere e pulire la pellicola.

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TG: Fino a che anno hai usato la moviola?

WB: Fintanto che ci sono state le moviole, qui in Rai, io le ho usate.

Intercine

TG: Voi montatori avevate voce in capitolo per dire questo lavoro è meglio girarlo in pellicola?

WB: No, questa è stata una scelta aziendale. La Rai ha scelto di rinnovare l'attrezzatura ed abbandonare la pellicola. Lo dico con rimpianto, perché la pellicola ha occupato un lungo periodo della mia vita lavorativa e poi perché la pellicola è il cinema. Capisco perfettamente le esigenze dell'Azienda di sveltire i tempi e adeguare le lavorazioni alle tecnologie più moderne. Il problema è che quando siamo passati dalla pellicola all'elettronico non c'erano ancora i sistemi di montaggio di adesso, non c'era l'Avid e si montava con un sistema analogico da Beta a Beta o addirittura da U-Matic a U-Matic o da BVU a BVU, o Pollice-Pollice. Con la centralina di montaggio, o addirittura da macchina a macchina, cosa che forse può capitare di fare aancora adesso al telegiornale. Cosa che ho fatto anch'io per tanti anni. Questo è un sistema di montaggio poco evoluto che prevede di montare un'inquadratura dopo l'altra in modo lineare nella sequenza in cui il pubblico dopo le vedrà. Se il montatore dovesse cambiare idea e volesse magari soltanto accorciare o allungaure la durata di un'inquadratura risulta necessario rifare tutto il lavoro per fare una piccola modifica. Altrimenti bisogna duplicare tutto, ma il nastro magnetico che all'epoca non era digitale, aveva una perdita ingente di qualità ogni volta che si faceva una copia.

TG: Quanti passaggi si potevano fare in tutta la lavorazione e quanto si perdeva in ordine di qualità?

WB: Si potevano fare solo 3 passaggi, altrimenti si perdeva troppo in qualità. Si arrivava a perdere anche il 20% ad ogni passaggio. Quando siamo passati dalla pellicola all'analogico, per noi montatori cinematografici che comunque abbiamo fatto un corso d'aggiornamento per imparare ad usare le macchine elettroniche, è stato come tornare indietro ad un modo di montare più arretrato e meno raffinato. Oltre a questo c'erano altri precisi standard da rispettare: per esempio le barre EBU non sono lì per bellezza. All'epoca, mi ricordo, cosa che non si fa più, ogni saletta aveva il suo oscilloscopio vectorscopio per cui si faceva il controllo della qualità delle barre con un sistema di barre campione. Con Avid non è più così, con i sistemi di montaggio digitali, a livello di montaggio, non ha quasi più senso effettuare queste operazioni. Perché con i computer io entro con il segnale in 1:1 ed esco in 1.1, sì, c‘è una conversione mpeg, ma è una conversione di qualità talmente alta che non c'è più differenza. Mentre col nastro, ad ogni riversamento si perdeva tantissima qualità. Tieni presente che allora si lavorava spesse volte in composito, non in component, e nemmeno separando i tre segnali.

TG: Tornando alla pellicola, hai lavorato anche in 35mm?

WB: Lavorato no, l'ho utilizzato diverse volte anche perché quando arrivava materiale un po' particolare come sigle di trasmissioni prodotte esternamente arrivavano in 35mm, allora si controllavano, si visionavano, eccetera. Molto materiale di repertorio arrivava in 35mm. Con Biagi ci arrivò una serie di filmati dalla ex-Unione Sovietica dove c'erano film e documentari sulla rivoluzione d'ottobre del 1917, naturalmente erano tutti in 35mm ed io li ho dovuti vedere tutti per poi decidere che pezzi utilizzare e mandare a mettere i fili, come si diceva allora, per riversare il tutto in 16mm.

Proiezione per pellicole 35mm o 16mm

TG: Avevate moviole da 35mm?

WB: Le moviole erano tutte bipasso 16mm e 35mm leggevano entrambi i formati. Molti colleghi hanno montato in 35mm per fare determinati lavori. I Promessi Sposi, per citare la produzione più grossa della Rai di Milano sono stati montati dai colleghi Gianni Lari e Gennaro Oliveti in 35 mm.

TG: Tu hai lavorato anche con loro?

WB: No, beh erano colleghi. Eravamo un bel gruppo, ma il mestiere del montatore, come ho detto prima, non si insegna, si ruba. Se uno come me all'epoca, era giovane, volenteroso e interessato al lavoro, spesso, se capitava d'avere delle ore libere andava a vedere che cosa facevano gli altri. E molte volte questo diventava interessante.

TG: Ti riferisci a come fare gli stacchi, il montaggio, l'audio...

WB: Sia per la tecnica, che per il modo di trovare delle soluzioni di montaggio che ti permettano di uscire da delle situazioni un po' difficili. Chiaro che molto del mio lavoro, fatte salve le basi immutabili della grammatica cinematografica che poi si possono stravolgere per finalità artistiche, sta nel guardarsi molto attorno e vedere che cosa fanno gli altri. Io continuo a guardare la televisione e ad andare al cinema, non solo per piacere mio di spettatore, ma anche per approfondimento professionale.

TG: Ci sono stati dei registi qua in Rai che ti hanno insegnato qualcosa? O che ricordi con piacere?

WB: Ho lavorato con vari registi, ne ricordo alcuni con affetto e con piacere perché mi hanno insegnato molto, penso a Luciano Arancio che era uno dei registi fissi di Biagi con cui ho lavorato molto. Arancio, come me era un appassionato di lirica, per cui abbiamo fatto molti lavori anche sulle prove di Riccardo Muti a La Scala.

TG: Un lavoro che ti ha dato particolare soddisfazione?

WB: In elettronico, il lavoro che più mi ha dato soddisfazione è stato: “Il Fatto” di Enzo Biagi, in quel caso utilizzavo già le prime macchine Avid, eravamo però già nella seconda metà degli anni '90. Era un approfondimento delle news che prevedeva una trasmissione di 5 minuti ogni giorno, in onda dal lunedì al venerdì dopo il TG serale della rete uno. E' stato un bell'impegno anche dal punto di vista dell'adrenalina perché molte volte si preparava la trasmissione su un argomento per tutto il giorno, ma poi poteva capitare che un fatto improvviso di cronaca ci facesse cambiare completamente programma e bisognava rifare tutto all'ultimo momento. Io ho seguito tutte le edizioni con la stima, la collaborazione e l'amicizia di Loris Mazzetti, altro personaggio che io ricordo con piacere.

Varie bobine di pellicola 16mm e nastri perforati magnetici

TG: Invece in pellicola che cosa ti ricordi con piacere?

WB: Era tutta una serie di lavori che riguardavano Riccardo Muti in prova. In quel caso si univa il piacere di vedere come veniva costruite le prove e messa in scena un'opera a La Scala, ed allo stesso tempo c'era il piacere di fare una sintesi. Erano dei documentari.

Porte, finestre, chiavistelli e tapparelle che servivano a riprodurre i rumori necessari a sonorizzare sceneggiati tv e radiofonici, o altri tipi di programmi.

TG: Tu che genere televisivo privilegi? A che lavoro piace lavorare: documentari, sceneggiati, informazione, musica, varietà?

WB: Io ho fatto un po' di tutto, ma onestamente di sceneggiati ne ho fatti pochi. Ho sempre lavorato di più per i documentari. Da un po' di tempo a questa parte privilegio le opere e le commedie, lavori di tipo teatrale.

TG: Può esserci un montatore che è più adatto ad un lavoro di tipo documentaristico piuttosto che musicale? Piuttosto che narrativo?

WB: Assolutamente sì, il montaggio scaturisce dalla collaborazione con un regista nel cercare di mettere in pratica le sue idee. Così dovrebbe essere, poi in televisione non sempre è così. Nella cinematografia classica il montatore dà forma alle idee del regista che ha seduto al suo fianco e per far questo ci deve essere unità d'intenti. In più il montatore dovrebbe essere appassionato da quello che fa. Se l'argomento non lo interessa o non sta nelle sue corde la cosa diventa difficile ed il lavoro diventa semplicemente mestiere, ma non dà luogo a quel qualcosa di più che può farlo diventare, diciamo la parola grossa, arte. Nel mio caso specifico, non essendo io un appassionato di musica rock o di musica moderna, i videoclip li lascio fare volentieri ai montatori più giovani. Questo non vuol dire che io non possa fare quel tipo di lavori, ma secondo me è anche giusto che ognuno di noi, nei limiti della disponibilità, riesca a lavorare per i soggetti a cui è più adatto.

TG: In Rai c'è la possibilità di proporsi o di scegliere per che progetto lavorare?

WB: Diciamo che a Milano, noi delle reti, siamo un gruppo di più di una dozzina di montatori con ognuno le sue qualità, e ritengo che sia i registi interni che hanno voce in capitolo durante le riunioni di produzione di decidere a chi affidare un lavoro, sia i nostri responsabili sappiano benissimo ognuno di noi per cosa è portato. Poiché siamo tutti qui per dare il nostro meglio, se io do il meglio in una cosa, non vedo perché dovrei farne un'altra che un collega può fare meglio di me...

Dettaglio di porta scorrevole

TG: Senti, e il fatto di lavorare, magari da soli, in una stanzetta per diverse ore di seguito, o talvolta accompagnato da un regista, ma penso molto più spesso da soli, è una cosa che può dar fastidio o che pesa? E la ripetitività? Io ho sempre in mente che quando si fa un montaggio bisogna vedere tutto il girato, lavorarci su poi rivederlo un'infinità di volte e risentirlo, questo fa sì che ci vogliano delle doti particolari per fare questo lavoro? Ci vuole molta pazienza?

WB: Be sì, ci vuole pazienza, ci vuole occhio che poi può venire anche con l'allenamento. Io lavoro da solo perché posso lavorare in autonomia, fatto salvo che dopo c'è sempre una visione finale insieme ad un regista, ad un assistente alla regia che sono figure fondamentali del montaggio anche per quello che dicevi tu, perché funziona esattamente come in un libro. Tu vuoi scrivere un libro, lo rileggi 20 volte e non ti accorgi della parola sbagliata perché tu rileggi sempre la stessa cosa. L'occhio fresco che arriva dopo che tu magari hai fatto 3 giorni di montaggio ed hai montato una sequenza, arriva e ti dice che c'è qualcosa che non funziona. Normale, ben venga il regista, o l'assistente.

TG: Tu mi dicevi che tanti anni fa avevi iniziato come assistente operatore e poi ti sei buttato sul montaggio; è successo per una tua predisposizione a quel tipo di lavoro?

WB: Sì, mi piaceva e mi piace tuttora.

TG: Nel passaggio che c'è stato dal lavorare con le moviole alle macchine rvm tu hai trovato difficoltà ad adattarti a questo cambiamento? E i tuoi colleghi più anziani? C'è chi non ce l'ha fatta?

WB: Quell'epoca non è stata un periodo gradevole, nel senso che per i colleghi più anziani di me, adesso in pensione, è stato decisamente uno shock. Alcuni hanno assolutamente rifiutato questa novità, un paio di loro si sono rifiutati di convertirsi a questo ruolo. Io invece ero abbastanza giovane e difatti sono ancora qui come ultimo esemplare dei montatori in pellicola, per quanto riguarda il Centro di Produzione di Milano. Io ero entusiasta ed incuriosito da questi nuovi mezzi per cui forse ho avuto meno difficoltà degli altri ad imparare il funzionamento di questi mezzi e nell'usarli, pur continuando a fare il mio mestiere.

TG: Il fatto di venire dalla pellicola ti ha poi agevolato nell'utilizzo di Avid e dei sistemi di montaggio non lineare?

WB: Assolutamente sì, perché Avid e gli altri sistemi sono stati pensati da un montatore vero, non da un tecnico. Non voglio essere offensivo nei confronti di nessuno su questo punto, ma Avid funziona tramite un computer esattamente come la moviola e la pellicola. C'è stato un periodo in cui la Rai ha unificato la mansione di montatore tra i tecnici dell RVM ed i montatori cinematografici, in quel momento i tecnici video sapevano operare sulle macchine, ma non avevano le competenze teoriche di montaggio e non conoscevano bene il linguaggio che dovevano utilizzare; mentre noi sapevamo come montare, ma non come utilizzare le macchine. Col tempo, anche alcuni tecnici sono diventati dei bravi montatori.

Dettaglio di un chiavistello utilizzato nel cubo del rumorista

TG: Il montaggio RVM all'inizio poneva dei limiti al linguaggio cinematografico.

WB: Poneva quei limiti che ho spiegato prima, ovvero che tutto andava pensato prima d'effettuare il montaggio, cosa che d'altronde andrebbe fatta anche per un montaggio “vero”, però questa accortezza bisognava averla molto più di adesso, perché ai nostri giorni con Avid si può anche arrivare a metà del montaggio e decidere di cambiare tutto, senza che questo comporti particolari problemi. Mentre con il montaggio analogico, questo voleva dire rifare tutto e perdere tantissimo tempo.

TG: Adesso che la definizione è arrivata a 4K, 5K, 6K, 7K, 8K e chi più ne ha più ne metta. Adesso che anche la latitudine di posa raggiunge gamme impensabili fino ed oltre i 14 stop; insomma adesso che l'immagine elettronica e le possibilità di montaggio sembrano non aver fine, secondo te, il mondo del cinema e della televisione sono più vicini? L'immagine elettronica, chiamiamola così, è diventata una cosa sola?

Un altro tipo di chiavistello montato sulle porte del cubo del rumorista "parcheggiato" al quarto piano del palazzo Rai di Corso Sempione che lo scorso anno è stato aperto al pubblico durante le giornate del FAI

WB: Tecnicamente si somigliano sempre di più, è vero, tutto è girato con i mezzi elettronici e dalla fine del 2014 anche tutte le sale cinematografiche italiane dovrebbero essere attrezzate con i videoproiettori elettronici, anche perché c'è una legge che esprime questo obbligo. Come conseguenza, quello che vediamo al cinema non è più un film. Come vedi, una risposta alla tua domanda siamo riusciti a darcela. Rimane però molto diverso il l'approccio, il linguaggio e ciò che si fa in televisione è diverso da quello che si fa nel cinema. Al cinema si raccontano le storie, in televisione, almeno per quello che riguarda noi, si fanno soprattutto i talk-show adesso.

TG: Sì, e’ verò però esistono delle serie americane nate apposta per la televisione che fanno impallidire anche il cinema.

WB: Beh, io non lavoro ad Hollywood, posso dirti quello che facciamo noi qua. Anche le opere per ora non le facciamo in 4K, ma in alta definizione. Ritengo che sia diverso l'approccio del pensare un prodotto, poi tecnicamente arriveremo a fare anche noi certi lavori in 4K, non è quello il problema. Il fatto di lavorare in digitale ha portato grossi vantaggi sia a livello produttivo, ma soprattutto nella possibilità di non avere un deterioramento nella qualità dell'immagine che è qualcosa d'estremamente importante.

TG: Per quello che riguarda la conservazione del prodotto finito, era meglio la pellicola? O si riuscirà a conservare anche il file digitale? O la cassetta? E che durata pensi che possano avere questi tipi di supporti?

WB: Mi stai facendo una bella domanda (ride). E chi lo sa? L'evoluzione tecnologica è stata così veloce che non abbiamo assolutamente avuto il tempo di valutare e di testare quella che è la resistenza e la durata nel tempo di certi supporti. Tanto è vero, per quanto ne so, che adesso ci ritroviamo con nastri che ci riproducono un tipo d'immagine talmente scadente, per gli standard cui siamo abituati adesso, da risultare terribile alla visione. La pellicola ha più di 100 anni, sappiamo come funziona, sappiamo come conservarla, sappiamo come restaurarla, non ci pone problemi. Il vantaggio del digitale è che tutta l'informazione numerica si può riversare senza avere perdita di qualità, basta cambiare il tipo di supporto e passare periodicamente da un hard-disk ad un altro, o ad una memoria solida, o a quello che ci sarà in futuro, resterà sempre una fila di 1 e di 0. Mettila come vuoi, ma una volta che sono registrati e sappiamo che sono registrati anche in modo ridondante, non dovrebbero porsi nemmeno qui grossi problemi.

TG: Spiegami meglio la questione delle informazioni ridondanti per favore.

WB: I sistemi di registrazione digitale immagazzinano più volte la stessa informazione, cosa che vale anche per i normali CD audio, questo significa che poi quando il sistema di lettura va a recuperare i dati, anche se qualche informazione subisce dei danni il sistema è ugualmente capace di ricostruire la traccia registrata. E' come se la registrazione fosse fatta 5 volte in maniera sfalsata per cui diventa difficile perdere il contenuto della registrazione in quanto è possibile ricampionare la traccia anche in assenza di qualche dato numerico. Questa soluzione è stata appositamente studiata in fase di progettazione, altrimenti basterebbe la perdita di un solo dato numerico per sentire un buco nell'audio, o perdere dell'informazione video. Inoltre c'è una correzione di campionamento che tiene conto anche della perdita d'informazioni ed altre cose.

Una tapparella montata sul cubo del rumorista

TG: Abbiamo parlato poco della sonorizzazione, questa lavorazione la facevate voi montatori o un apposito reparto?

WB: Per sonorizzazione intendi il mixaggio?

TG: Aggiungere dei suoni, o degli effetti, pulire delle sporcature audio, aggiungere delle tracce audio e cose così

Cubo rumorista Rai Milano
Un lato di uno dei due cubi da rumorista ancora presenti in Rai a Milano

WB: Allora, il film veniva montato con una serie di colonne audio: la voce, le musiche, facciamo l'esempio del documentario, c'era la voce fuori campo, la voce dei vari intervistati, le varie musiche ed eventuali effetti. Tutte queste colonne audio venivano missate da un reparto apposta che c'è ancora adesso che si chiama sincronizzazione audio.

TG: Mi sembra che siano solo due persone...

WB: Adesso sono solo due persone, prima erano molte di più e si parlava di sincronizzazione perché c'era tutta una serie di macchine che mantenevano il sincrono. Su ognuna si montava una colonna separata, più il video e si provvedeva al missaggio con personale tecnico, cosa che viene fatta tuttora da chi ha un orecchio allenato ad una certa sensibilità. Il lavoro di mixaggio non è un lavoro semplice. Mi ricordo che esistevano delle figure che adesso non esistono più, come il rumorista. Negli sceneggiati, anche radiofonici, era necessario aggiungere degli effetti ricreati dal rumorista che adesso vengono inseriti da dischi di effetti già pronti. Il consulente musicale, diplomato al conservatorio, invece, oltre a seguire i programmi musicali assiste il montatore nella proposta e nella scelta di musiche da inserire nei prodotti audiovisivi che realizziamo qui in Rai.

La porta scorrevole utilizzata negli anni '50, '60 e '70 dai rumoristi della Rai

TG: Quindi non è sempre il regista che sceglie le musiche, ma siete anche voi a proporle?

WB: Sì.

TG: E per quello che riguarda l'audio voi cosa fate esattamente?

WB: La messa in sincrono della registrazione fatta col Nagra che veniva trasferita sul perforato magnetico, alla quale aggiungevamo le musiche, tagliate e sincronizzate...

TG: Facevate una prima colonna di base?

WB: Le colonne venivano tutte preparate in moviola, solo in mixaggio avveniva il filtraggio dal punto di vista sonoro, e lavorate sulle dissolvenze audio in entrata ed in uscita, o nelle dissolvenze incrociate fra una musica e l'altra. Cosa che faccio anche adesso con Avid. Il mixaggio poi livella, calibra e magari aggiungeva la pasta sonora, schiarendo un'intervista, mentre gli effetti venivano montati in moviola. Al rumorista invece si dava il pezzo filmato da proiettare e su questo si registravano i rumori. Il nastro poi tornava da me che rimettevo tutto in sincrono correggendo magari il suono dei passi dei personaggi, in modo che coincidessero alle immagini, stessa cosa per un oggetto che cadeva a terra. Tutto questo era riportato sul perforato magnetico che andava in moviola. A questo proposito posso raccontarti una cosa curiosa che mi ricordo molto bene perché era stata una delle domande trappola che mi fecero alla selezione del 1979. In Rai, per quanto riguarda il sincrono sonoro, ed è un'esclusiva della Rai perché non l'ho mai visto fare da nessuna altra parte, veniva fatto per motivi di risparmio, si utilizzava una pellicola da 35mm tagliata a metà. Siccome il 35mm viaggia ad una velocità 4 volte superiore a quella del 16mm ed ha 4 perforazioni per fotogramma, invece di una, l'utilizzo del 35mm per l'audio permetteva una lavorazione più precisa dell'audio, ecco perché per il sincrono dell'audio, specialmente per quello che riguardava i doppiaggi, in Rai si utilizzava il mezzo 35mm.

TG: E tu non lo sapevi, però.

WB: No, io lo sapevo perché durante l'esame un esaminando, durante la prova orale, è uscito prima di me dalla sala dove si erano riuniti per l'interrogazione dicendo che gli avevano chiesto una cosa assurda sul 35mm perforato magnetico tagliato a metà. Io che avevo ascoltato questo discorso, quando poi è stato il mio turno di rispondere alle domande che la commissione esaminatrice faceva mostrando un mucchietto di campioni di vari tipi di pellicola ho saputo rispondere correttamente. Fu proprio Heron Vitaletti, che tu conoscerai, a prendere uno spezzone di questo tipo di mezzo perforato magnetico da 35mm ed a chiedermi di che cosa si trattasse. Io candidamente risposi correttamente che era il mezzo 35mm che si usava in Rai per il doppiaggio audio, aggiungendo che me l'aveva appena detto il ragazzo l'esaminato prima di me.


Il montatore e la Moviola
Tipica situazione da moviola. Rivista notizie Rai

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