venerdì 5 dicembre 2014

Come schiavi in libertà

Domani, sabato 6 dicembre alle ore 17, a Monza, presso lo spazio Urban Center Binario 7, via Turati 6, si inaugurerà la mostra fotografica dRaúl Zecca Castel: "Come schiavi in libertà", in occasione della giornata mondiale dei diritti umani.
Saranno esposte 32 fotografie, a colori ed in bianco e nero di formato cm 40X55 che l'autore ha scattato nella Repubblica Domenicana, durante un soggiorno di studi durato 4 mesi, nell'anno 2013. 
Raúl Zecca Castel è un giovane antropologo, laureato in filosofia a Milano, che per conto dell'Università degli Studi di Milano Bicocca ha svolto una ricerca sulle condizioni di vita delle popolazioni haitiane che lavorano nei campi di canna da zucchero, vivendo a stretto contatto con i braccianti e le loro famiglie.

Mani di un uomo che ha lavorato per tutta la vita - Fotografia di Raúl Zecca Castel

I batey sono gli agglomerati di baracche abitati dai lavoratori della canna da zucchero, si trovano a Cuba ed in Repubblica Domenicana; le condizioni di vita delle persone coinvolte in queste attività sono molto dure e le loro giornate di lavoro sono retribuite con pochi soldi, soltanto quello che i padroni delle piantagioni sono disposti a pagare per la sopravvivenza di queste persone. 
Nonostante questa situazione, gli haitiani sfuggono dalla miseria del loro paese ed accettano di svolgere un'attività pesantissima e pericolosa, per la quale spesso sono vittime d'incidenti che rischiano di causare danni permanenti.

La giornata di lavoro non dura mai meno di 12 ore - Fotografia di Raúl Zecca Castel

Sono contento di presentare in anteprima alcuni scatti di Raúl che ha anche girato un breve filmato introduttivo ad un lavoro più importante che vedremo in futuro, quando sarà pronto.

Andando nei campi - Fotografia di Raúl Zecca Castel

Parlo di questo giovane autore sia perché, pur essendo un fotografo emergente, ha già una visione matura dei soggetti dei quali ci parla, ma soprattutto perché ha svolto un lavoro molto importante per ricordarci che i diritti civili, oltre che quelli umani, non sono dominio esclusivo di nessuno, ma conquiste universali che vanno difese giorno per giorno ad ogni latitudine, nella lontana Repubblica Dominicana come nelle fabbrichette della Padania o nel nostro ambito lavorativo.

Gruppo di braccianti - Fotografia di Raúl Zecca Castel

La mostra sarà visitabile fino al 14 dicembre
Da lunedì a venerdì 10.00 – 19.00
Sabato e domenica 10.00 – 12.00 e 15.00 – 18.00 

Aggiornamento del 7 dicembre 2014
Ieri sono stato all'inaugurazione della mostra, ho incontrato l'autore delle fotografie ed ho parlato con lui per capire meglio le motivazioni che lo hanno portato a vivere un'esperienza tanto estrema per circa 4 mesi della sua vita.
Il titolo scelto per questa esposizione gli è stato suggerito da un cortador, da uno dei tagliatori di canna da zucchero, in quanto la posizione di questi lavoratori non è affatto regolare sul territorio Domenicano e questo fa di loro delle specie di schiavi moderni, o se preferite, della manovalanza sfruttata, priva dei normali diritti riconosciuti universalmente agli esseri umani, essendo le persone presenti in questi bateys clandestini privi di documenti, fuoriusciti illegalmente da Haiti, uno dei paesi più poveri al mondo.
L'illusione di questa gente era di poter trovare del lavoro non troppo lontano da dove vivevano, sapendo che le retribuzioni a Santo Domingo sono mediamente 4 volte superiori a quelle che si possono ottenere ad Haiti.
L'unico lavoro consentito a questi disperati è tuttavia un'attività molto pesante e pericolosa, il taglio della canna da zucchero con il machete
A parte le ferite da taglio che capitano un po' a tutti, c'è poi la polvere rilasciata dalle canne che, alla lunga, s'infiltra dappertutto, specie negli occhi dei cortador, arrivando a provocare perfino la perdita della vista. Sono abbastanza impressionanti alcuni ritratti di uomini di una certa età che hanno un occhio trasformato in una palla bianca inservibile.
Lavorare 12 ore al giorno sotto il sole, spesso senza mangiare o bere, provoca  svenimenti e malori, se poi si pensa che in questi bateys non c'è niente, tranne le capanne dormitorio di questa povera gente, si capisce come debba essere difficile sopravvivere senza assistenza sanitaria, senza un medico o un infermiere che si occupi di coloro che richiedono cure mediche.
In questi villaggi dei lavoratori (il 90% sono haitiani), non esistono nemmeno le scuole; inizialmente vivevano qui solo degli uomini, poi si sono aggiunte le donne ed i bambini, spesso costoro si spostano da una piantagione ad un'altra, nella speranza di guadagnare qualcosa in più o d'essere trattati meglio, ma sono solo illusioni, qualcuno mette in giro delle voci inattendibili, qualche gruppo di lavoratori si trasferisce, ma le loro vite non cambiano in nessun modo.
Le bambine capita che diventino madri già a 13 anni e poi conducono una vita piena di soprusi e maltrattamenti.
Fintanto che questi uomini, donne e bambini risiedono nelle zone destinate alla raccolta della canna da zucchero e della piantagione, la loro presenza viene tollerata sul territorio, ma quando qualcuno vuole spostarsi per cambiare attività e tentare di dedicarsi a qualcos'altro, come ad un piccolo commercio di frutta, per esempio, vengono estradati nel loro paese d'origine. E' da qui che si capisce che essi sono schiavi, nemmeno tanto liberi di circolare.
Raúl era l'unico bianco presente in questo posto, ha iniziato a cercare un contatto con delle organizzazioni di aiuto umanitario presenti a Santo Domingo e poi è riuscito ad avere una risposta da un uomo estraneo a queste associazioni, il cui fratello vive e lavora nel batey in cui Raúl ha vissuto nel periodo dei suoi studi su queste popolazioni.
Solo quando gli abitanti di questo batey hanno iniziato ad abituarsi alla presenza di un bianco che era interessato alle loro condizioni di vita ed hanno conosciuto meglio il giovane ricercatore, Raúl ha potuto cominciare a scattare le prime fotografie e registrare in audio ed in video le prime interviste che poi gli sono servite a redigere la propria tesi di laurea.
Raúl, dopo il suo rientro in Italia, ha capito d'avere in mano del materiale fotografico molto buono, non soltanto come testimonianza delle proprie ricerche antropologiche sul posto, ma anche da un punto di vista giornalistico ed estetico, così ha pensato di dar vita ad una mostra.
Le fotografie sono molto belle, eppure sono state scattate con una normale macchina fotografica digitale compatta.
A questo proposito, Raúl dice il merito non è tanto il suo come fotografo, ma quello di aver trovato soggetti eccezionali; neppure lui si aspettava un risultato così soddisfacente. 
Certamente non avrebbe potuto presentarsi in mezzo a persone naturalmente ostili nei confronti di un bianco così diverso da loro, con attrezzature ingombranti e sofisticate.
Un comportamento del genere, avrebbe provocato ancor più diffidenza e difficoltà d'approccio con la gente del posto che all'inizio sospettava egli fosse un ricco possidente che cercava una nuova piantagione da comprare, poiché questo è il solo motivo che porta i bianchi a visitare questi posti.
Questi bateys, in realtà, non sono poi così lontano dal mare e dai villaggi turistici visitati da coloro che vogliono prendersi una vacanza da sogno ai Caraibi, ma non c'è assolutamente alcun contatto tra mondi così diversi che nulla hanno in comune tra di loro.
Raúl vorrebbe allestire questa mostra anche in altre città e far conoscere meglio la realtà di queste persone ad un pubblico più vasto, per questo non vende le sue opere, ma le conserva, con la speranza di trovare qualcuno che le accolga, magari per un periodo di tempo superiore ai 10 giorni.

Raúl Zecca Castel, 29 anni 
Fotografia di Tony Graffio


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