lunedì 1 aprile 2019

Guidone Crapanzano, l'arte contemporanea e il segreto di Lucio Fontana

"Sei tu che inserisci il significato nell'opera che vedi." Guido Crapanzano


Guido Crapanzano
Guido Crapanzano nel suo studio mostra la fotografia in cui ha effettuato una pesca fortunata in California.

Il nonno materno di Crapanzano era il rappresentante per l'Italia della Cadillac, sua madre era la contessa Wanda Munaron, suo zio era Gino Munaron, il pilota gentleman degli anni '50 che corse con Maserati, Alfa Romeo, Osca, Nardi e Ferrari.
La famiglia Crapanzano è originaria della Sicilia, Mario Crapanzano ha però sempre vissuto al Nord, prima a Bologna dove s'è sposato e in seguito a Milano dove ha insegnato al Liceo Manzoni. 
Nel 1943, quando iniziarono i primi bombardamenti su Milano, i Crapanzano sfollarono a Bergamo, una città che non subì danni e fu bombardata pochissimo, forse perché l'industria pesante era a Dalmine ed in altre località nei dintorni.
Certamente anche l'ambiente familiare contribuì alla sua formazione culturale; appena finita la guerra, già gli ultimi giorni dell'aprile del 1945, il padre di Crapanzano tornò a Milano e decise di aprire una Galleria d'Arte in Galleria Vittorio Emanuele II che chiamò: la Viscontea, per accedervi bisognava scendere una scala in Galleria del Corso. Il padre di Guidone però non trattava l'arte contemporanea, per lui già un artista come De Pisis era incomprensibile. Vendette questa attività commerciale nel 1952.
Guido Crapanzano fin da giovanissimo si interessava all'arte, oltre che alla musica, per questo frequentava gli ambienti in cui si incontravano gli artisti e conobbe così Enrico Baj. 
L'ambiente culturale era effervescente, tutti avevano voglia di percorrere nuove strade ed era facile entrare in contatto con nuove idee e personaggi di ogni tipo, Milano era la città giusta dove vivere, studiare, lavorare e fare affari.


Uno dei primi Generali di Enrico Baj disegnato su cartone.

Tra le ragazze che negli anni '50 facevano le modelle di nudo per l'Accademia di Brera, attività che allora era ritenuta abbastanza riprovevole c'era Gigina Baj, la moglie di Enrico, che in seguito divenne socia di Guido Crapanzano quando decisero di aprire la Galleria d'Arte: Il Cortile, a Brera. Oltre a Enrico Baj, Guido Crapanzano conosceva bene Crippa, Dova, Fontana, Capogrossi ed altri; tutti si ritrovavano all'Aretusa, o al Santa Tecla, i locali maggiormente alla moda negli anni 1956, 1957, 1958. Ci si ritrovava per ascoltare musica jazz; sul palco c'erano Gianni Basso, Oscar Valdambrini, Gianni Cazzola, Mario Pezzotta, ma anche cantautori e urlatori, come  Guidone quegli anni cantava con i suoi amici ed era conosciuto come uno dei primi rocker italiani.


La Contessa Wanda Munaron è stata Principessa di Eleganza nel 1961.

I locali pubblici dove si suonava musica all'avanguardia erano anche i punti d'incontro di intellettuali come Indro Montanelli, Nino Nutrizio del quotidiano La Notte e alcuni scrittori, tra cui Pasolini che frequentava spesso l'Aretusa, anche perché lì o al Santa Tecla poteva incontrare Victor, un omosessuale che si concedeva a pagamento. In quei posti si ritrovava tutta l'élite di Milano, compreso Gianni Versace che da poco era arrivato a Milano e si definiva: sarto, perché la parola: "stilista" non era ancora stata utilizzata da nessuno. Anche il grande pianista Arturo Benedetti Michelangeli era appassionato di jazz e condivideva con gli altri avventori le serate all'Aretusa, dove per circa cinque mesi suonò Chet Baker che già a quei tempi era un consumatore abituale di eroina. Oscar Valdambrini e Renato Sellani suggerirono al trombettista americano di abbandonare la polvere bianca per bere il barbera, come facevano loro, ma è risaputo che le cose poi non andarono così e la morte dell'americano rimane avvolta nel mistero, anche se è stata sempre collegata proprio all'abuso di droghe.
Lucio Fontana fu determinante nel successo economico di Crapanzano perché fu quell'artista a dargli i quadri da vendere all'estero a tre importanti galleristi di Ginevra, Parigi e New York. Per l'Italia il mercante di Fontana fu Carlo Cardazzo della Galleria del Naviglio.
Guidone e Gigina Baj aprirono la loro Galleria nel 1971 in via Fiori Chiari; nei primi tempi Crapanzano si interessò alla sua attività, poi sempre meno, fino a quando decise di vendere la sua parte a Gigina, nel 1990. 


La donna più elegante d'Italia
Guido Crapanzano con sua madre su Visto, una rivista del 1961.

Oggi Guido Crapanzano possiede opere molto importanti dell'arte contemporanea internazionale che è riuscito ad acquistare con i guadagni ottenuti dalla sua attività di gallerista.
Crapanzano mi ha anche raccontato il segreto di Lucio Fontana.
Cardazzo ogni mese dava 80'000 lire a Fontana per quattro quadri; prima di fare i tagli Fontana faceva degli strani disegni e i buchi che rappresentarono il primo passo verso l'apertura spaziale.
Fontana aveva il suo studio a Brera, poco lontano dalla Galleria di Guido Crapanzano che seppe di questa storia da Gigina Baj che essendo una donna affascinante, piena di vitalità, aveva avuto modo di essere in intimità con Lucio Fontana. Gigina e Enrico Baj avevano un rapporto molto aperto ed erano molto avanti per l'epoca. I due coniugi ebbero un buon rapporto anche dopo la loro separazione, quando Gigina si trovò un po' in difficoltà per il proprio sostentamento economico.
Il segreto che ho appreso è questo: come ogni fine mese Cardazzo si era recato da Fontana per portargli le 80'000 lire, ma lo trovò disperato. Era da una ventina di giorni che l'artista non sapeva cosa fare davanti ad una tela bianca. Disse a Cardazzo che soltanto la sera prima, colto da disperazione, si era deciso a tagliare la tela. Cardazzo stette ad ascoltare quello che aveva da dire Fontana; fu il gallerista a pensare al concetto di spazialità; così chiese a Fontana di preparargli altri tre quadri di quel tipo per il giorno dopo. L'indomani Cardazzo tornò da Fontana con 80'000 lire e se ne andò con quattro tele tagliate. Il concetto di apertura spaziale nacque perciò dalla brillante mente di un gallerista di grande intelligenza. Idea che rese Fontana un artista famoso in tutto il mondo nel giro di soli due anni, tanto è vero che anche una galleria di Ginevra che tra i suoi clienti aveva personaggi come Gianni Agnelli, è stata la prima che chiese a Crapanzano di comprare i quadri di Fontana. Crapanzano a insaputa di Cardazzo comprava quei quadri a circa 30'000. 
A quei tempi Mario Crapanzano, il padre di Guido, guadagnava 50'000 al mese; mentre gli operai guadagnavano tra le 20'000 e le 30'000.
In seguito gli artisti si ritrovarono in altri due locali: il Ristorante "La parete", in via Morigi, aveva un salone sul retro con un grande tavolo dove mangiavano insieme molti pittori milanesi che esponevano sulla parete di quella sala i loro quadri che talvolta il proprietario, Pino, cercava di vendere per cercare di rifarsi per il trattamento speciale che riservava agli artisti che non sempre pagavano. Il locale era frequentato anche da Gianna Cattaneo un'altra mecenate di quei tempi.
Invece a Brera c'era Mamma Lina, una donna di buon cuore che aiutava spesso i pittori giovani che arrivavano da fuori Milano e non avevano i soldi per pagarsi da bere e da mangiare; mentre il Bar Jamaica divenne famoso un po' dopo agli inizi degli anni '60.
Alla fine degli anni '50 Guidone andava un paio di sere a settimana a suonare a casa di Enrico Baj. Un altro luogo di ritrovo della mondanità milanese era la casa di Gianna Cattaneo, situata dalle parti di Porta Vittoria, che possedeva la più grande concessionaria della Fiat in città e preparava dei pranzi meravigliosi per tutti gli artisti, una volta alla settimana. Gianna Cattaneo è stata una delle maggiori finanziatrice degli artisti italiani ed ha comprato loro molte opere.
Milano, in quegli anni, era una città molto vivibile, umana e al centro dell'attenzione mondiale. 
A parte gli attori ed i registi del cinema, tra i quali c'erano personaggi importantissimi, l'ambiente culturale romano invece era un po' scadente. A Roma non c'erano locali di grande frequentazione per gli intellettuali.
Crapanzano ricorda che al Santa Tecla vennero a suonare anche i Campioni con Tony Dallara ed il loro chitarrista Lucio Battisti che all'epoca faceva parte della scuola dei cantautori genovesi, tra cui c'erano Gino Paoli, Luigi Tenco, Gian Franco Reverberi, Bruno Lauzi... Forse Leo Wachter decise di portare i Beatles proprio a Genova perché sapeva che a livello musicale quella città era molto attiva e lì ci poteva essere più interesse che altrove per le nuove tendenze.
Guido Crapanzano è un appassionato di arte contemporanea, ma riconosce che non tutta l'arte contemporanea è degna di nota e che molte operazioni concettuali non sono degne di essere prese in considerazione.
L'arte classica era destinata a raffigurare i personaggi più importanti, ma da quando nacque la fotografia cambiarono molte cose. I pittori guadagnavano dalla loro attività di ritrattisti per i regnanti, i papi, i nobili, i magnati e i grandi personaggi, fino all'arrivo degli impressionisti. I soggetti raffigurati erano prevalentemente edifici, case, chiese e ritratti. La fotografia ha distrutto il ruolo del pittore. Dal momento in cui è stato possibile riprodurre precisamente la realtà circostante mettendosi in posa per pochi istanti davanti ad una fotocamera insieme alla propria famiglia è calata enormemente la richiesta di ritratti pittorici.
Per questo poi i pittori si inventarono qualcosa che esulasse dal ritratto e dalla realtà. Anche De Pisis capì che bisognava trovare un modo poetico per esprimere una realtà che non assomigliasse alla realtà
Il Professor Mario Crapanzano aveva in sala da pranzo un grande quadro di Giovanni Fattori che raffigurava un bue, era un'opera bellissima e affascinante, ma era un quadro che alla lunga stancava la vista. La pittura verista deve produrre capolavori altrimenti non è in grado di attraversare il tempo in modo leggero. L'arte contemporanea invece riesce sempre ad incuriosire l'osservatore e a stimolare nuove riflessioni. Nella pittura verista il significato è già evidente mentre nell'arte contemporanea il significato è inserito da chi interpreta l'opera, a seconda di come la vede.
I quadri poi vanno toccati e vissuti anche attraverso gli altri sensi. E così Crapanzano mi ha invitato a passare il palmo della mia mano sulla tela di un quadro bellissimo che vi mostro nella fotografia qua sotto. TG


Guidone
Un Picasso della Collezione di Guido Crapanzano

I diritti sono riservati


domenica 31 marzo 2019

Guy De Jong e l'arte Astratto Espressiva

"Un artista desidera che tutti siano felici." Guy De Jong


Conosco Guy De Jong da più di 20 anni, ma non vi ho mai parlato di lui su queste pagine; adesso per festeggiare i suoi 70 anni, compiuti il 25 marzo scorso, ho pensato di mostrarvi un filmato che ho realizzato con mezzi piuttosto semplici nel 2014.
Guy è un artista totale, nato a Bruxelles, ma trasferitosi sulle sponde del Lago di Como da circa 40 anni; si esprime con moltissime tecniche e linguaggi che vanno dalla pittura, alla scultura, all'incisione, alla ceramica, alla musica, alla poesia. Il suo stile è semplice, ma è pieno di vita, colore e amore.
Guy da qualche anno vive e lavora a Peglio dove oltre allo studio ha anche una casetta adibita ad esposizione permanente delle sue opere.


Guy De Jong e l'arte Astratto-Espressiva - Filmato

L'arte di Guy è un incontro tra un astrattismo che viene preso come sfondo di figure umane dalle quali traspaiono grande umanità e sentimento.

Per conoscere meglio Guy potete guardare un altro filmato del 2006: Amore sulla Spiaggia
In quel video vedrete l'artista e un baretto di legno dipinto nel 2005. Guy parla di come sia difficile per un artista essere compreso dalla gente e cita un episodio accaduto a Picasso in cui una scala su cui compariva una sua opera a Parigi era stata riverniciata di bianco e  poi del tentativo di recuperare il disegno originale quando si comprese il valore della decorazione.
Per ironia della sorte anche il bar "La Sciatera" è stato riverniciato dopo che è stato venduto ad un altro proprietario.
In un altro video, Guy parla di un'esperienza poco piacevole, quando è stato quasi chiamato a morte improvvisa. Dopo l'intervento di cardiochirurgia il mio amico si è sentito "Rinascere per sempre" ed ha voluto trasmetterci ciò che ha compreso della vita. TG





martedì 26 marzo 2019

Heavy Metal (racconto plausibile) di Stefano Bacci

Eccovi un altro racconto inedito di Stefano Bacci, solo per palati raffinati. È un po' lungo, lo so, ma se amate lo stile schietto e un po' ricercato del novellista su commissione pisano non potrete non restare incollati allo schermo del pc fino alla fine della narrazione, perché questa storia sembra prendere spunto dalla cronaca nera di questi ultimi giorni.
Troverete elementi di sesso, mistero, intrighi e disillusioni personali che si intrecciano con una visione cinica, ma arguta di uno scenario possibile nel quale ognuno di noi, forse, potrebbe trovarsi a contatto contro il suo volere e certamente controvoglia, anche solo perché noi sognatori non amiamo rischiare la pelle per una causa che non è la nostra che comunque non conosciamo.
Anni fa un amico mi raccontò di strane frequentazioni negli ambienti del divertimento del sabato sera; gente senza scrupoli che affrontava discorsi assurdi senza timore di essere ascoltata da orecchie indiscrete, forse perché aveva la certezza di lavorare per qualcuno molto potente che può far scomparire ogni traccia a posteriori, anche dagli schedari più sicuri.
Recentemente, un altro conoscente mi ha parlato di come sia possibile rendere tossiche sostanze apparentemente innocue e come si possa essere avvicinati da elementi poco raccomandabili che ti impongono di fare ciò che vogliono.
Questa volta non vi stiamo parlando di piani metafisici o mondi paralleli, ma di incontri fatali che possono capitare a chiunque.
Non voglio aggiungere altro; vi invito vivamente alla lettura di una storia scritta benissimo che sicuramente vi farà riflettere e magari vi toglierà il sonno.
La trovate ancora una volta online su Frammenti di Cultura, ma la proprietà letteraria, com'è giusto che sia, è tutta del suo autore. TG

Modella marocchina Imane Fadil
Pericoli nell'ombra

HEAVY METAL
(Segreti pesanti)
di
Stefano Bacci

Prologo
Ci vuole pazienza. Ci vuole metodo.
E io ce li ho. Entrambi.
E charme ci vuole. E classe.
Eleganza e preparazione. Parlantina e discrezione.
Molta discrezione. Tantissima discrezione: debbono valutarti affidabile oltre il 100% o non vai da nessuna parte.
Mai.
E se di mestiere fai la spia questo può essere un problema non da poco. Anzi: è il problema.
Perché spie non si nasce, spie si diventa, spesso per caso. Ma una volta dentro non è che fai un salto all'INPS a farti calcolare se hai i requisiti per la pensione o se con Quota 100 riesci a mollar tutto un paio d'anni prima del dovuto.
È tutto complicato.
E nello stesso è molto meno nebuloso di quanto non sembri visto da fuori.
Anch'io, da giovane, leggevo libri o guardavo film di spionaggio, quando ancora vivevo nel mio paese di origine. Anche qui in Italia avevo continuato a farlo e anche a me quello sembrava un mondo mirabolante, fatto di avventure estreme, di audacia infinita, di intrighi fittissimi, di realtà parallele che si sovrappongono alla realtà quotidiana come una di quelle maschere “alla Diabolik”, per intenderci.
Velo dico subito: non è così.
È molto meno e molto più di così.
Molto meno, perché la maggior parte del lavoro lo fai per carpire segreti da nulla, utili soprattutto a qualche industria nazionale o straniera che ha i rapporti giusti col Governo in carica e i suoi cospicui interessi da curare e si affida alle strutture parallele dello stato amico per ottimizzare il business a spese della concorrenza, a sua volta spalleggiata da identiche strutture straniere.
Oppure si tratta di tener d'occhio 4 invasati post-qualcosa, neo-sa-il-diavolo-cosa, o convinti di agire in nome di un qualche dio che vedono solo loro al mondo, almeno in quelle vesti di belva assetata di sangue infedele che loro gli attribuiscono.
O ancora di sgamare i colleghi in casacca avversa, le “spie nemiche”, che potrebbero essere perfino un tuo alias, un tuo alter ego, il te stesso doppio e triplogiochista che già che c'è ci prova ad ottimizzare gli introiti.
Meno di quel che vi aspettavate, ammettetelo.
Ma c'è anche il “molto più”.
Perché, proprio come nei film o nei romanzi, si può morire. Vittime di incidenti sul lavoro che non troverete nelle statistiche dell'Inail, perché se l'epilogo è tragico è facile finire a: “Chi l'ha Visto?”, o sotto ad un viadotto per via di un incidente stradale fantasma, o caduto sotto i colpi di qualche banale malattia inattesa e imprevista che nessun medico legale indagherà, per quanto sospetta a qualcuno questa possa sembrare.
Ma state pur certi che non ci ritroveranno con un buco in testa nel backstage de La Scala o su qualche spiaggia VIP.
Niente scalpore. Niente “circo mediatico”.
E niente stop del regista; nessun attore che si rialza e si toglie gli abiti di scena imbrattati di finto sangue.
Nossignori: se si muore, si muore davvero. E neanche i congiunti sapranno mai il motivo reale. Fine. Condoglianze. L'assicurazione a volte paga, se ne avete una. Un datore di lavoro fantasma emette un'ultima busta che viene accreditata sul conto corrente di famiglia. È tutto.

Prima parte
Vi ho già detto che per fare questo mestiere ci vuole charmesavoir-faire, presenza e discrezione? Sì?
Beh, vi ho mentito!
O meglio: non servono affatto nel lavoro di routine, quando si tratta di verificare, riscontrare, schedare, sorvegliare, intercettare, prevenire. E, non faccio per dire, ma il 90% del mestiere di spia e della giornata-tipo dell'agente dei servizi di questo è fatto, che vi credete?
Viceversa, sono qualità fondamentali quando l'incarico prevede l'infiltrazione in determinati ambienti, in giri tutt'altro che beceri, al contrario: parliamo di ambienti medio-alti, qualche volta elevati, in alcuni casi elitari. È lì che ci vuole talento. Quel talento di cui io dispongo a bizzeffe.
Quel talento che indusse un certo signore, attualmente mio capo-divisione, a valutare con attenzione la segnalazione del suo sottoposto, responsabile del reclutamento e che lo convinse a farmi contattare con modalità affabili da persone che di mestiere quello fanno: avvicinare, contattare, dire il minimo indispensabile, proporre, accompagnare in un anonimo ufficio della Capitale dove neanche il Re dei Dietrologi o il Principe dei Sospettosi immaginerebbe mai che merce si tratta davvero lì, consegnarti a certi formatori che ti fanno le bucce su ciascun aspetto della tua vita (che peraltro già conoscono in mille dettagli ancor meglio di te, che tante cose le hai ormai archiviate, rimosse o dimenticate proprio) e solo alla fine di un certo percorso arriva finalmente l'ingaggio.
Per quanto io ne possa sapere è così che funziona.
O perlomeno per me fu così.
All'epoca mi occupavo di relazioni pubbliche e di organizzazione e gestione di eventi di un certo tipo, roba di classe o quantomeno a portata di poche tasche ben gonfie, ma parecchio, parecchio, parecchio ben gonfie...
Tutta gente che “siccome può, allora vuole”.
È perfino superfluo che ve lo dica, non si tratta di personalità che attribuiscono a leggi, regole e costumi standard quel valore di limite invalicabile ai loro personali capricci, gusti, attitudini, propensioni al consumo. Tutt'altro. Si direbbe, anzi, che il loro desiderio segua un grafico di proporzionalità inversa al concetto stesso di “liceità”. Più qualcosa è illecito, più a loro garba. Da liceità a licenziosità dopotutto ballano giusto 5 insignificanti letterine.
E io procuravo che nessun desiderio di questi maggiorenti restasse insoddisfatto, e quando se ne fosse dato il caso e la necessità, pur nei miei umani limiti provvedevo in prima persona a soddisfarlo.
Girano soldi, signori, e la vita è troppo breve per rinunciare a valorizzare certe attitudini personali che sogliono gratificare alquanto la committenza solvibile, quella che senza batter ciglio aggiunge maggiorazioni e regalini mica per ridere ai cachet già stratosferici previsti per il servizio, sia il mio personale a margine dell'evento mondano, sia quello generale relativo all'evento stesso che pur sempre io, con soci e compari, gestivo e organizzavo al meglio, su standard stellari.
Alla fine, tutto è routine.
Infatti, dopo la mia rapida scalata ai vertici di quel mondo, già mi stavo interrogando su quale futuro avrei voluto assegnarmi; su quanto ancora avrei potuto o voluto lasciarmi impastoiare in quella vita; su quanto ancora le mie doti fisiche e il mio talento relazionale mi avrebbe garantito visibilità e domanda.
Fu un banale contrattempo a indicarmi la via: una caduta dalla bici (mio vecchio hobby e passione giovanile mai sopita), o meglio un furgone che si venne a trovare dove non avrebbe dovuto essere, una brutta frattura nel fritto misto di altre ossa rotte in maniera meno sfacciata, con completo di mix di contusioni varie e traumi assortiti e mi ritrovai a fare riabilitazione in una clinica specializzata.
Neanche a dirlo, la clinica apparteneva, al pari di altre simili, ad una certa Nobildonna che potremmo definire come una “frequent flyer” della mia compagnia di organizzazione/gestione eventi, stimatissimo ed eminente membro delle élite della beneficenza, del terzomondismo umanitario, della vecchia tradizionale “charity” evoluta in modo quasi automatico in ramificate strutture di assistenza, accoglienza, integrazione, intermediazione culturale con sedi in ogni angolo del mondo e finanziamenti... a pioggia? Mah! A cascata? Ancora non ci siamo. A regime alluvionale? Non rende a sufficienza l'idea. Uno tsunami di finanziamenti da qualsivoglia organizzazione statale, sovra-statale, mondiale. Questo era. Se esistesse ancora Atlantide, di una sola cosa potreste star certi: finanzierebbe qualche programma della sopracitata Nobildonna finalizzato ad agevolare l'interscambio culturale ed artistico fra la stessa Atlantide e il nostro Paese.
Ora, voi non avete idea di come questi personaggi si dannino l'anima pur di raddrizzare il crudele destino riservato ai meno fortunati tagliati fuori, per mera casualità legata al luogo di nascita, da ogni possibilità di affermazione e riscatto. E non avete idea di quanto la nostra Nobildonna si sapesse mettere in gioco “da pari a pari” quando si trattava di precipitarsi in qualche cencioso e derelitto villaggio di qualche savana centro-africana conteso da milizie avverse, vessato per la sua appartenenza all'etnia o al credo religioso non congruo all'ambiente circostante, minacciato dalla desertificazione, abbandonato dall'acqua dolce, falcidiato da epidemie o altre calamità.
E, quasi per un automatismo del sistema immunitario, lei e tutti gli altri maggiorenti avvertivano, di quando in quando, al ritorno da cotante sfibranti campagne etiche, l'estrema necessità di rigenerarsi in incontri per pochi intimi a margine di nuovi eventi o appuntamenti calendarizzati.
Era quello il mio pane quotidiano: non si doveva andare a spaccare il capello in 4 quanto a gusti sessuali, propensioni al consumo di sostanze psicotrope oltre le bevande alcoliche (sempre al top), scarsa attitudine a fare dei rapporti sessuali una questione di coppia, né men che meno di genere.
Anche in quelle circostanze coperte dalla più assoluta discrezione, del resto, la Nobildonna e i suoi amici di analogo lignaggio manifestavano tutta la quanta la loro indole paritaria nei confronti del popolo. Infatti non mancavano mai di relazionarsi con emissari di detto popolo selezionati fra i più affascinanti, disponibili, prestanti, seducenti, devoti, instancabili, servizievoli, efficienti e opportunamente selezionati e monitorati sotto ogni punto di vista, incluso quello sanitario.
E non dovete pensare neanche per un secondo che l'elenco degli aggettivi che ho appena indicato nel capoverso precedente sia declinabile in entrambi i generi, maschile femminile, per una mera coincidenza o casualità lessicale.
Al contrario, è perché meglio comprendiate quanto variegata fosse la domanda che si levava dagli invitati in termini di inclinazioni dell'eros. E quanto fosse assolutamente necessario che gli organizzatori (io fra questi) facessero in modo che nessuno restasse privo di un ampio ventaglio di scelte indipendentemente dall'ortodossia o dalla bizzarria dei loro “desiderata” in materia di sesso e sostanze, a meno che non fossero essi stessi a scegliere la modalità solitaria, limitandosi ad una distaccata presenza inattiva.
E se qualcuno avesse manifestato un interesse particolare per noi event-manager, beh: non era certo il caso di allontanare quel calice dalle nostre labbra allenate. Erano, più che gli incerti, le variabili del mestiere. Potevano essere piacevoli o seccanti, ma occorreva comunque sopperire al meglio.
Non mi ricordo un solo episodio, a memoria mia, nel quale questo abbia rappresentato per me un problema insormontabile, né che qualcuno abbia avuto da ridire sulla qualità della mia compagnia particolare.
E men che meno di quella dell'evento in generale, o della discrezione tombale, dell'oblio assoluto in cui questo scivolava già al mattino successivo.
Non per niente la ditta si chiamava “Orfeo e Euridice”: vai pure nell'Ade e prendi chi vuoi, ma al ritorno sulla vecchia Terra non ti sarai portato niente e nessuno con te. Che resti pure il mito, a patto che scompaiono le tracce.
E le tracce sparivano, su questo potete scommettere sereni tutto quel che possedete, inclusi i vostri sogni seriali, uno fra tutti quello di far parte a qualsiasi titolo delle nostre piccole kermesse.

Seconda Parte
Ci illudiamo sempre di conoscere a fondo le persone.
E se la conoscenza include anche certi aspetti intimi, legati a quella zona grigia che sta a metà strada fra i segreti di alcova e la pubblica rispettabilità connessa alla morale, allora la nostra convinzione si eleva fino al punto di indurci a credere di avere in pugno i nostri interlocutori, se mai dovesse giungere il momento di avanzare qualche rispettosa richiesta: di aiuto, di denaro, di agevolazioni, di presentazioni, di sostegno a qualche causa, di sponsorizzazione, di acquisto di quote nel tal contesto di business o nell'altro.
Ma le persone, in verità, non si conoscono mai del tutto.
Io, ad esempio, mai nella vita avrei pensato, non per un solo istante, che la mia Nobildonna non ne avesse già abbastanza di attività in cui infilarsi, pubbliche o private che fossero.
Mai, e dico mai, e vi ripeto mai avrei immaginato che ci fosse “altro” dietro quella facciata che nascondeva altre facciate che celavano ulteriori facciate e così via, in un gioco di scatole cinesi dove la faccia vera non la scorgi mai e continui ad imbatterti in facciate.
Credevo non ci fosse altro da scoprire.
Mi sbagliavo.
Debbo anche confessarvi che la mia sorpresa fu tutto sommato contenuta, quando ebbi modo di accorgermi di quanto e su cosa mi stessi sbagliando. Se vi mettete nei miei panni d'altronde, capirete subito che poco ormai può meravigliarmi davvero. E, non faccio per dire, ma viaggio sui 30 anni di età.
Fu il reclutatore ad accennarmi appena, ma furono i suoi livelli superiori, là in quell'ufficio capitolino anonimo di cui vi ho già parlato, a circostanziare meglio la vicenda.
Vengo al sodo: la Nobildonna, a quanto pare, non si limitava a importare ed esportare creature infelici o tessuti pregiati, opere inedite di artisti emergenti del terzo mondo e pezzi rari di artigianato prodotto da scuole ancestrali di tribù semi-estinte.
Non le bastava gestire flottiglie e un intero organigramma complesso di ONG e ONLUS, né si appagava del tutto della sua discreta ma implacabile attività di lobbista presso i vari Organismi Sovranazionali planetari, ente principe e sue emanazioni inclusi.
Neanche i retroscena a me noti, quelli nei quali lei e i sui pari si rifocillavano da tanta instancabile, frenetica, umanitaria attività sembravano quindi restituirle la pace.
La Signora, a quanto pare, prestava le proprie capaci spalle a traffici di materiali radioattivi tanto proibiti quanto indispensabili a certe potenze nazionali irresistibilmente attratte dall'idea di poter disporre, o perfezionare a seconda dei casi, di un bastevole contingente di ordigni nucleari, a vocazione difensivistica e di deterrenza, o espansionistica e aggressiva a seconda dei casi e, soprattutto, delle interpretazioni tele-guidate dei mass-media vecchi e nuovi sulla base delle esigenze di creazione di consenso popolare generale verso le scelte di politica estera di questo o quel Governo Nazionale.
Che poi, chi lo deve sapere lo sa, più che di politica estera si parla di macroscopici interessi economico-finanziari e della cornice nobile, meno prosaica della rozza real-Politik che deve contenerli e renderli presentabili.
Ora, il fatto si poneva in questi termini: c'erano molteplici indizi che riconducevano alla Nobildonna, ma nessuna prova concreta. Nessunissima.
Anzi, a dirla tutta, non si poteva ancora escludere del tutto che la Nobildonna fosse estranea ai fatti, o magari al corrente, sì, ma disinteressata e distante, e che le trame fossero ordite e gestite da qualcuno a lei molto vicino. E anche questo non era un gran dire, perché i suoi interessi erano talmente variegati ed estesi nel mondo intero che non sarebbe stato comunque facile individuare i responsabili e operare un riscontro fattivo.
E così, quando si dice il caso, io mi venivo a trovare nella condizione ideale: frequentavo la clinica per la riabilitazione post-sinistro; e facevo parte, con ruolo di primario rilievo, del management della società che gestiva gli eventi mondani della Nobildonna e del suo ambiente.
Le doti delle quali Madre Natura mi aveva munificamente colmato erano l'ideale per drizzare le antenne e carpire informazioni riservatissime.
Fu così che divenni Operatore alla raccolta delle Informazioni per conto dei Servizi statali
Questo è quanto. Facile a dirsi.
A dirsi.

Terza parte
Ci scommetterei: se provaste ad immaginarvi il traffico di materiale radioattivo e quello delle componenti tecnologiche, informatiche ed elettroniche necessarie a realizzare un dispositivo nucleare, subito evochereste scenari da grandi intrighi, fatti di trasporti avventurosi e rischiosissimi, con relative cacce all'uomo e trucchi e marchingegni di fantascientifica efficienza.
Niente di più mitologico.
Voi non avete idea di quanto sia più facile, sicuro e affidabile ammorbidire qualche funzionario di dogana o qualche ispettore di questo o quell'ente civile o militare, anziché scimmiottare le gesta di un improbabile James Bond.
Direte: “Ma come: non mi dirai che il plutonio, per dirne uno, viaggia come un qualsiasi articolo comprato on-line da Amazon?”
No, ma non siamo neanche troppo lontani da quello.
Mi spiego meglio: ci sono decine e decine di attività umane che, in modo del tutto legale, necessitano la movimentazione di materiali radioattivi. Dalla medicina all'industria della carta, dalla farmacologia alla fotografia, passando per l'edilizia e la ricerca scientifica di base e specialistica. Ciascuno di questi rami si articola poi in sotto-settori.
I minerali radioattivi hanno un loro mercato “bianco” e circolano seguendo protocolli ovviamente rigidi e precisi che ne regolamentano la movimentazione da un qualsiasi punto del pianeta ad un altro, entro e al di fuori di uno o più confini di stato.
Viaggiano per mare, per cielo e per terra, su treni e camion e in ogni altra modalità possibile ed immaginabile.
Certo, ci deve essere un esatto riscontro e una assoluta ispezionabilità in più di una circostanza, stante la particolare natura dell'articolo trasportato.
Ma se allenti le maglie dei controlli e dei riscontri, è incredibile quando facile sia dar vita al “nero” parallelo, che poi più di un soggetto si contenderà a cifre da capogiro.
Tuttavia non dovete pensare a qualche gangster da caricatura che va dispensando bustarelle a mezzo mondo, nel settore dogane e ispezioni. Uomini e donne parlano, desiderano, seducono e sono sedotti, amano e sono amati, usano o abusano e sono usati e abusati, commettono errori e nascondono scheletri in armadi tutt'altro che inviolabili che ne conservano fior di tracce, bramano scorciatoie e si espongono al ricatto.
In poche parole: sono facilmente manovrabili e quasi sempre, per un verso o per l'altro, corruttibili.
Non c'è affatto bisogno che tutto questo sia esplicito.
Nessuno si presenta con un sacco di soldi in mano e compra la compiacenza di Tizio o Caio.
Tu sai già che fra qualche mese il tal carico dovrà passare dal tal porto, aeroporto, stazione, terminal, molo. Hai tutto il tempo di favorire l'incontro di un funzionario, di un addetto, di un responsabile, di un Caposervizio, di un piccolo satrapo locale con qualcuno che costui non potrà fare a meno di notare, uomo o donna che sia, etero o gay, single o maritato/a.
È incredibile quanta confidenza dia e riceva un essere umano nel momento in cui la passione scoppia nel suo cuore e da lì si spande fino a sotto l'ombelico.
E magari la nuova fiamma, dopo 3 settimane di autentico stordimento e sperdimento dei sensi, durante una cenetta rilassata, fra le tante altre cose ti parla “en passant” di quel suo amico imprenditore del ramo farmaceutico vessato e quasi ridotto al fallimento dalla burocrazia che gli blocca continuamente l'arrivo di alcuni prodotti che a lui e al suo business servono come il pane, e che lui paga in largo anticipo per poi vederseli sempre, immancabilmente bloccati pro-tempore per via di qualche nuovo cavillo legale, trattandosi di merci soggette a normative particolare; e il discorso si chiude lì e subito si parla o ci si occupa di altro: vini, pietanze, un secondo round a luci rosse, progetti per il futuro.
Poi, dopo qualche giorno, il tuo uomo piazza l'esca: “Ti ricordi del mio amico farmaceutico che ha sempre problemi... e bla-bla-bla? L'ho sentito l'altra sera e magari puoi dargli una mano. La sua ditta si chiama … e aspetta una spedizione prevista il … del mese di ... e mi chiedevo, anche se a lui non gli ho fatto parola, se non puoi adoperarti per agevolarlo ad un più solerte disbrigo delle pratiche. Oltretutto, semmai lo informassi che fai questo per lui, sono certo/a che non mancherebbe di manifestare un segno tangibile della sua gratitudine. Per lui sarebbe anzi un sollievo: fra fare un regalo a chi gli ha fatto un piacere e chiudere bottega per impossibilità di proseguire nella sua attività, è evidente che preferirebbe riconoscere una spettanza a chi dovessi fargli da consulente in un campo dove tu ne sai quanto pochi altri al mondo e lui non ha strumenti.”.
Funziona, gente, credetemi.
In ogni caso, le volte in cui questo non dovesse bastare, ci sono sempre dei video molto hot già in circolazione sui soliti siti per pornografi. Certo, quando uno sente fare beep al suo cellulare, vede un messaggio, dentro c'è un link, lo apre e visualizza una clip dove si vede tutto-ma-proprio-tutto tranne i volti dei protagonisti, ma sa perfettamente che i volti in questione sono il suo e quello del suo amato bene e il messaggio lascia intendere che la “Part two” del filmato sarà presto sul web in tutto lo splendore dei faccioni dei protagonisti, nella certezza che mogli o mariti faranno salti di gioia quando riceveranno via whatsapp analogo link, così come del resto parenti vari, amici, conoscenti, superiori e sottoposti sul lavoro, a meno che...”, ecco: potete giurare che quel che accadrà sarà indubbiamente “a meno che”.
La conquista uscirà di scena senza lasciare neanche una traccia, ma avendo al contrario lasciato una miriade di traccianti, così che nei rari casi in cui il pollo di zampa gialla si rivelasse uno tosto, una mosca bianca dall'etica incrollabile, disposto a lasciarsi massacrare dallo scandalo pur di smascherare la trama, questa volontà incrollabile verrebbe intercettata al minimo accenno via telefono, via email, via social, via messaggio, perfino via confidenza vocale testa a testa con un amico del cuore nel chiuso di casa sua o nel frastuono di un locale affollato. È così facile attivare in remoto un microfono di smartphone!
E se proprio, ma sono casi assolutamente rarissimi, qualcuno non se ne desse per inteso, chi potrebbe farsi venire dei sospetti se il nostro eroe si venisse a trovare nel posto sbagliato al momento sbagliato, tipo nel bel mezzo di una rapina inaspettatamente violenta ad un ufficio postale, mentre era lì tutto tranquillo che pagava il suo bollettino mensile relativo a qualche acquisto a rate? “Signora mia, che tempi! Qui questi delinquenti ammazzano per un pugno di spiccioli! Arrivano fatti e strafatti per darsi la carica. Come vedono, a almeno così a loro sembra, qualcuno fare un solo accenno di movimento dubbio, aprono il fuoco sul primo malcapitato. Bang, bang bang! Che poi era tanto un brav'uomo!”.
E quanti ubriachi al volante raddrizzano il rosso e si buttano nel mezzo di un incrocio mentre l'ignaro automobilista passa tranquillo col verde?
Per non parlare delle risse fra gang di latinos nei locali e nelle tabaccherie. Improvvise, violente, ci vanno sempre di mezzo degli innocenti. Poi, valli a beccare questi banditi. Potrebbero essere clandestini, fantasmi fra fantasmi.
Insomma, ci siamo capiti: non ci vuole l'auto volante o il teletrasporto o la macchina smaterializzatrice. Basta sfruttare le umane debolezze e bramosie. E non farsi troppi scrupoli quando il metodo standard non funziona. Certo: non sarà la famosa “licenza di uccidere” del principe di tutti gli agenti segreti di Hollywood, ma è incredibile quanto poco zelante diventi, e quanto distratto si riveli un medico legale davanti alla prospettiva concreta di un inatteso avanzamento di carriera, di un bonifico molto sostanzioso a della personificazione delle sue più recondite fantasie sessuali. La morte inattesa che ti passa vicina con la sua gelida ala ti spinge con forza a ricercare un colpo di vita e di vitalità compensatorio sotto forma di sublimazione dell'angoscia in pulsione erotica incontenibile.
È facile manipolare il prossimo, quando sai tutto di lui, credetemi, specie se hai accesso a tutti i data base e sei una persona che non conosce il significato del termine “scrupolo”.
Sono solo esempi, fantasie. Ma vi sarete iniziati a fare un quadro meno metafisico del nostro mestiere, poveri creduloni?

Quarta parte
L'efficienza fisica è importante, sia quando gestisci eventi per i piani alti della società, sia quando svolgi o coordini attività di raccolta di informazioni.
Anche la lucidità mentale, certo.
Perché è relativamente facile smascherare chi delinque spinto da un impellente stato di necessità.
Non altrettanto si può dire quando il tuo Mister X (uno o più d'uno, neanche questo sai, in partenza) commette reati gravissimi, reati per i quali rischia tutto quel che ha. E non lo fa per bisogno, ma per noia, per sfida, per avidità, per provare il brivido, perché a sua volta incastrato. Mille possibili moventi, ma con la costante di non potersi permettere di essere smascherato, perché quel che ha da perdere è smisurato.
Dopo l'incidente, il mio standard di lucidità ed efficienza non è ancora al top: ho dovuto assumere troppi farmaci, ho dovuto cambiar dieta e non sono ancora sui miei precedenti livelli di operatività.
Per questo devo delegare ai miei più stretti collaboratori più di quanto non vorrei, ma non c'è alternativa e debbo fare di necessità virtù.
Come se non bastasse, la faccenda è complessa e non ho ancora certezze.
O meglio: ne ho una. Quale? Questo “affaire” fa gola a tanti, troppi.
Se fai questo mestiere, impari a riconoscere i colleghi, come loro riconoscono te.
Non è diverso dai giornalisti di decine di testate diverse che parlano del fattaccio di cronaca che li tiene tutti lì inchiodati da giorni fuori dalla palazzina che è stata scena del crimine di qualche efferato delitto dalla vasta e perdurante eco mediatica. Ognuno sa che l'altro sa qualcosa che lui non sa e viceversa. Con mosse ben calcolate si minimizzano i rischi derivanti dal lasciar trapelare qualche informazione esclusiva in cambio della disponibilità del collega-rivale a ricambiarti la cortesia. Ognuno ha i suoi canali. Almeno quelli bravi li hanno. Ciò che ancor non sai è sempre maggiore di quel che puoi far sapere ad altri.
Certo: ci vuole esperienza, fiuto, astuzia, abilità. Puoi prendere granchi. Puoi dare senza ricevere. Come può accadere il contrario. Ognuno ha in tasca il tesserino con il nome del proprio giornale ben scritto in chiaro, a differenza di noi che risultiamo ufficialmente “organizzatori di eventi”, “addetti d'ambasciata”, “responsabili ufficio-stampa”, “addetti alla sicurezza della tal azienda”, perfino “rappresentanti”. Ma fra compari ci si riconosce.
Stavo iniziando a mettere insieme i pezzi del traffico di isotopi e già avevo visto in giro, come sparvieri in planata, questo o quell'incaricato del tal servizio o del tal altro.
E fin qui tutto ok.
Quel che non è così ok è che circolano anche un paio di soggetti che anch'io, che pure ne ho già viste di cotte e di crude, ho difficoltà ad inquadrare. Uno di loro si è anche fatto avanti.
Parla con un leggero accento del Sud Italia, ma non è certo lo sgherro di qualche cosca di bassa lega, potete scommetterci.
È perfino colto, erudito, direi. Cita Tommaso Campanella e il Muratori, che è un intellettuale minore del '700 che non conosci se i tuoi studi non sono almeno di livello universitario. Anche a questo livello, te ne dimentichi e certo non lo citi spesso.
In poche parole, mi ha proposto di lavorare anche per “loro”. Nessun doppio gioco, solo una condivisione di informazioni e di intenti. Ben pagata, s'intende. Molto ben pagata. E, in segno di buona volontà, mi ha girato alcune informazioncine di cui non ero (ancora) a conoscenza, così che ho potuto collegare certi punti che non sapevo bene come inquadrare, almeno alla luce delle mie conoscenze del momento.
Non si dovrebbe fare, ma si fa.
Chiaro, è stato tutto un “dico, ma non dico”, un “sono, ma non sono”, un “supponiamo che la Nobildonna in passato abbia avuto una lunga e coinvolgente relazione con...”.
Io replicavo con gli “Ah! A me risultava invece che il secondo marito fosse il socio occulto della tal Agenzia di import-export attiva in Turchia, ma potrei anche sbagliarmi” e i “Non le sembra curioso che all'indomani del tal evento a Tel Aviv una biondissima signorina dall'aspetto Est-europeo abbia intrecciato una relazione muy caliente con l'incaricato d'affari israeliano a Lisbona?”
Ho controllato il mio conto corrente nel solito paradiso fiscale. Quello inviolabile e non riconducibile a me. Il saldo è cresciuto e di parecchio. Bonifici. Irrintracciabili. Causale: consulenza professionale.
Questa gente sa il fatto suo. Anche troppo, mi pare.
Meglio non dare troppa ulteriore confidenza.
Meglio arrivare a delineare un quadro meno vago possibile di responsabilità oggettive, ruolo per ruolo, riferire a chi di dovere e lasciare che chi ne ha facoltà decida se e come agire.
Poi un check-up per vedere di recuperare prima possibile questa benedetta forma psico-fisica che ancora non c'è e la cui mancanza mi mette non di rado all'angolo opprimendomi con stanchezze premature e senso di affaticamento. “È normale, dopo un incidente come il suo”. Questo il ritornello di tutti gli specialisti consultati. Passerà. Questione di settimane, dicono. O di mesi, al massimo.
Poi, niente di meglio di un lungo, lungo periodo di ferie e riposo in riva a qualche mare lontano.
In ogni caso domani mi devo ricordare di passare a ritirare i risultati degli esami.
Domani. Ora ho sonno.

Quinta parte
Non è possibile, non ci posso credere; ditemi che sto sognando e che fra poco mi sveglio e tiro un sospiro di sollievo.
Non c'è.
Non ce n'è traccia.
Nessuno che sappia dove sia finita, né se ci sia mai davvero stata.
Come “cosa”?
La clinica, la struttura, il Laboratorio di Analisi, cazzo!
Era qui, in questo palazzo anonimo tutto uffici, targhe, assicurazioni, studi professionali.
C'era anche il portiere, ma non era lo stesso di quando ho fatto i prelievi, no. Quello era un uomo, questa è una donna. Una donna che ne sa meno di me, a quanto dice.
“Guardi non so che dirle, mi dispiace. Il mio capo mi ha detto che avevo un sacco di ferie arretrate, che la legge è cambiata e che se non le prendevo le avrei perse e non me le pagavano nemmeno. Non le pagano più. Così mi sono fatta un mese di vacanza e... che le devo dire? Fintanto che sono stata qui, laboratori per gli esami del sangue non ce ne sono stati, su questo posso giurarglielo sulla testa dei miei nipotini. Lavoro qui da 14 anni, può credermi. Le posso dire che capita spesso che qualche azienda prenda in affitto qualche ufficio per brevi periodi, magari perché hanno qualche evento importante o aprono una nuova sede qui in città e aspettano che sia pronta, ma che mi ricordi io un centro analisi non c'è mai stato”.
Wow, fantastico. E il suo sostituto, le ho chiesto?
“E chi l'ha mai visto! Ho smontato un venerdì pomeriggio e lui avrebbe preso servizio presto, il lunedì mattina, al posto mio. Diceva il capo che è uno del mestiere e che non aveva bisogno di venire a farsi dare le consegne”.
Bene. So cosa fare. Da questa non c'è altro da sapere, se non il numero e l'indirizzo del “suo capo”. Una visitina e questo canta come un usignolo e mi dice chi gli ha chiesto di fare tutta questa manfri... no, no, no! Fermati! Stop. Ma non capisci? Ma non capite? A cosa servirebbe? A morire informati? Lo capite, vero, cosa significa tutto il cinema del laboratorio d'analisi usa e getta, del sostituto portiere e compagnia cantante. Ma vi dirò di più: se risalgo a ritroso nella cronologia, vi so anche indicare il punto d'inizio. È cominciato tutto con quel dottorino fresco di laurea che, dopo l'incidente, mi suggerì di non fare le visite periodiche nella struttura pubblica, dove avrei dovuto buttare intere giornate per ottenere in cambio un servizio approssimativo, e mi indirizzò alla Clinica convenzionata del circuito della Nobildonna, di cui lui tutto ignorava, inclusa la sua stessa esistenza, o almeno io allora così pensavo. E quando la riabilitazione cominciò ad andare per le lunghe e si resero necessari esami specifici, fuori-standard rispetto ai soliti test routinari e possibili solo in laboratori specializzati che avevano i costosi macchinari adatti, solo allora mi indirizzarono qui, dove ora c'è solo una vecchia portinaia rincoglionita e uffici anonimi. Ed ero già con un piede dentro la trappola. Un bel lavoro, non c'è che dire. Roba seria, fatta con tutti i crismi del mestiere. Con ogni probabilità, quello era il Piano B e il furgone contro cui andai a sbattere con la mia bici avrebbe dovuto essere abbastanza per mettermi dentro a una bella cassa da morto. Ma la mia tempra robusta ha reso necessarie cure, medicine e iniezioni. E la faccia disperata dell'omino del furgone e la sua voce piagnucolante mentre chiamava l'ambulanza non mi avevano ingenerato alcun sospetto, anche perché ero parecchio fuori-uso per il colpo. Fuori-uso ma ancora qui, in questa valle di lacrime. Da qui il Piano B e gli esami di approfondimento da eseguire nel centro clinico d'avanguardia. Ed ecco spiegato il modo in cui “loro” controllavano il buon svolgimento dell'operazione. È evidente che i risultati veri non erano quelli che mi consegnava la gentile signorina al banco del laboratorio. I risultati veri li avevano loro. E le porcherie che mi somministravano facevano effetto. E più le ingurgitavo, peggio stavo. E peggio stavo, più loro leggevano i progressi del loro crimine nel sangue che io in prima persona fornivo loro ogni settimana. E state pur certi che se oggi del Laboratorio non c'è traccia, allora questo significa una cosa e una cosa soltanto: che sono oltre il punto di non ritorno, almeno secondo i canoni della più accurata diagnostica contemporanea. Sono un walking dead, un morto che cammina.
Sul certificato di morte scriveranno di una qualche forma aggressiva e letale di leucemia o porcherie simili. A nessuno verrà il minimo dubbio. E se qualcuno volesse saperne di più, vi ho già detto come facciamo a farlo desistere, no? Con le buone o tenendolo per le palle.
Poi, a chi mai verrebbe un dubbio? Qualcuno di voi non si è mai imbattuto in queste tragiche fatalità? In malattie improvvise che portano via in pochi giorni persone giovani e sane, debordanti di vitalità fino a un attimo prima di manifestare i primi sintomi? Sono cose che capitano.
E se capitano ad una che ufficialmente fa la escort di alto bordo, chi volete che approfondisca?
Perché questa è la mia “public image”. Una escort per ricchi. Che c'è di strano?
Come dite: che pensavate che fossi un uomo?
E perché? Io non l'ho mai né scritto né lasciato intendere.
L'ho fatto apposta di non usare nomi, sostantivi, aggettivi e participi che mi obbligassero a definirmi per genere.
Come mai?
Perché lo so che se mi fossi presentata con la mia vera identità non avreste potuto fare a meno di liberare i vostri pregiudizi.
Sulle donne, sulle donne delle mie terre, sulle donne che fanno mestieri da maschi, sulle donne che non si tirano indietro se c'è da barattare sesso con ricchezza, successo, carriere, potere.
Invece ci tenevo che tutti voi vi faceste la vostra idea astratta su di me. Ed è un idea al maschile, ci scommetterei tutto quel che ho, e che presto non avrò più.
A parte il fatto che se mi fossi limitata ad esercitare la cosiddetta professione più antica del mondo mi sarei potuta ritirare prima dei miei 45 anni con un gruzzolo che voi futuri pensionati (forse) con poco più del minimo (forse) dopo una vita grama di lavoro sciatto e malpagato (salvo crisi e disoccupazione repentina) non vi sareste mai nemmeno potuto sognare; ma se calcolate che con 6-7 clienti fissi, più qualche extra durante gli eventi che la mia agenzia (sono socia, ricordatevelo) organizzava, in venti anni di attività avrei avuto meno partner di una donnicciola medio-borghese ossessionata dal mito della passione, dell'emozione erotico-sentimentale, della ricerca ossessiva del marito. Una che se ne ripassa 4 diversi al mese minimo e fatevi voi i calcoli per tirare la somma. Poi mi sapete dire il totale, anche dopo solo una decina d'anni di ansiosa ricerca in locali e cene a casa di amici e disco-pub; movide e vacanze in posti da rimorchio garantito e compagnia cantante. Le vostre sorelle aprono le gambe ad un numero maggiore di uomini di quanto non faccia io. E i miei, se non altro, sono tutti ricchi, sani, consapevoli, eroticamente appaganti e, se amano le maniere forti, concordano la parola o il gesto che, se pronunciata, li obbligherà a frenare. Ma loro, le vostre sorelline, mogli, figlie, sono okay per la massa insulsa, mentre io ai vostri occhi sarei stata “una di quelle, una che se le è andata a cercare. Ben le sta!". Qualche battutaccia, qualche benpensante che ravvede in tutto questo i segnali di una implacabile giustizia divina, qualche vecchio sporcaccione che dovrà rimettersi a sfogliare il catalogo on-line delle sue fantasie erotiche in affitto e...
A proposito! Aspettate un secondo!
Fermi tutti
Forse lo so!
Forse almeno la soddisfazione di obbligare tutti quanti a non seppellire l'inconfessabile insieme ai miei resti c'è.
Sono o non sono al centro del multi-gossip per via di alcune presenze a certe cene eleganti dove mezza nomenklatura nazionale si rinfrancava dopo aver esercitato la dura e nobile, nobilissima arte di governare? Vero è che il mio ruolo era più quello di organizzare che non quello di prestarmi a soddisfare concupiscenze assai poco originali, a fronte di tanta pretenziosità esteriore tutta a base di raffinati erotismi ed esotici scenari, ma questo la gente non lo sa e per tutti sono “la escort ora 34enne di origini arabe” che starebbe inguaiando un anziano uomo politico che non si è mai saputo rassegnare all'idea che la vita è a termine, per tutti, lui compreso. E che i soldi comprano attenzioni e prestazioni e garantiscono presenze di giovani donne al tuo fianco, ma non faranno di te il fulcro delle loro libere fantasie nemmeno nei momenti di maggiore esposizione emozionale.
Basta una conferenza stampa a sorpresa, un paio di avvocati di quelli che dico io e il gioco è fatto.
Molti sempliciotti penseranno al vecchio porco come ad un potenziale mandante, ma, per quanto questo sia risibile, io glielo lascerò pensare.
Detto fra noi, non c'è una sola ragione al mondo per ritenere lui l'artefice di un tale complotto. Prima di tutto ciò che ha combinato è ormai quasi del tutto noto, e quel che ancora non si sa è facilmente immaginabile; in secondo luogo questo è un lavoro fatto da professionisti veri, intendo dire quello che hanno combinato A ME. Perché voi leggerete questo raccontino quando io sarò già cibo per vermi. E non era facile farmela in barba così. Chi ci ha provato, e sono cose che capitano se fai il mio mestiere, non è più in grado di raccontarlo. Quando quel miliardario texano si mise in testa di metter su una sorta di rete parallela privata di controspionaggio e raccolta di informazioni e di segreti industriali e di traffici illeciti su vasta scala, finendo inevitabilmente col pestare qualche piede sbagliato o col farla fuori da qualche vaso che doveva rimanere asciutto e pulito, io non esitai un attimo ad attirarlo in una trappola a Beirut nella quale perse tutto, con tanto di falsa agenzia bancaria e estratti conto on-line fino a che non ebbi le chiavi della sua cassaforte e le sue password e lui si ritrovò da un giorno all'altro travolto da una tale montagna di debiti che agli occhi di chiunque si era procurato da solo tramite una rara combinazione di di investimenti fallimentari. E non ci fu neanche bisogno di levarlo dal mondo, perché la parola “fine” la scrisse lui stesso in una mega-suite di un lussuoso albergo che peraltro non aveva più neanche i sodi per pagare.
No, chi ora se la ride sotto i baffi per come mi ha fregato è qualcuno che deve difendere segreti dai quali dipende la sua stessa vita, oltre al suo prestigio e al potere che gestisce.
Se tutto verrà sepolto insieme a me, nel silenzio totale che conosco benissimo, resteranno solo ipotesi: i servizi di questo o quello Stato, qualche potentato vicino alle gigantesche società di consulenza che fatturano quanto 4 Germanie messe assieme ogni anno che Dio mette in terra. Qualche altra Mata-Hari dell'Est che vuole mettere le mani sul mio portfolio clienti, che effettivamente vale più del suo stesso peso in oro.
Se però ora tiro il sasso giusto nello stagno mediatico, non si può più escludere l'imprevisto, la variabile impazzita, l'oscuro Sostituto Procuratore che scoperchia quasi per caso la pentola giusta un'ora prima che un TIR guidato da un autista bulgaro ubriaco lo spazzi via insieme ad altri malcapitati in una piazzola autostradale, salvando inconsapevolmente la sua vita e costringendo tutto l'apparato ad elaborare una strategia di ripiego. Questo è ciò che temiamo noi spie, se vi piace chiamarci così. Più della concorrenza, più dei rischi sempre ponderabili e indicizzati, riferibili a statistiche e gestibili col calcolo delle probabilità. È l'irruzione dell'inconsapevole eroe che rappresenta ai nostri occhi lo scenario più temibile.
Certo, c'è anche il rischio che tu ti imbatta in qualcuno più abile e con meno scrupoli di te.
E temo che ciò che mi è accaduto sia esattamente qualcosa di simile.
Troppo tardi per recriminare.
Impossibile rimediare.
Troppo tardi per tutto.

Epilogo
Una vocazione tardiva.
Succede, quando passi tutta la vita ad occuparti del bene degli altri.
La Nobildonna si è sbarazzata di quasi tutti i suoi averi e si è ritirata in un monastero dove vige la regola claustrale più assoluta.
Vano ogni assedio da parte degli organi di informazione. No comment su tutta la linea.
Però, da testimonianze qualificate, la stampa è stata in grado di ricostruire la vicenda nella sua cronologia.
Già da tempo la Nobildonna si diceva turbata dalla piega che le politiche dei principali stati del mondo aveva assunto in materia di solidarietà fra i due emisferi, fra chi ha troppo e chi ha troppo poco o niente proprio.
L'età avanzata e la mancanza di un adeguato ricambio generazionale dei suoi quadri intermedi, oltre alla crescente difficoltà a superare le politiche ostili di stati un tempo a lei vicini, la aveva indotta a compiere quel passo che aveva già in animo di muovere da molti anni, dai tempi della dipartita del quarto, amatissimo marito.
Un paio di settimane di eco e sparirà nel dimenticatoio. Ha un ultimo bonus di notorietà da giocarsi, ma è quello di cui nessuno vorrebbe giovarsi mai: quello della notizia della sua morte. Nel segreto del monastero, a tumulazione avvenuta.
Non aggiungo altro. Ormai siete in grado di arrivarci da soli.
Alcuni dei suoi amici sono stati colpiti da piccole o grandi vicissitudini in un lasso di tempo tutto sommato non estesissimo. Il primario della clinica, malgrado la scienza medica le fosse amica e contigua, ha lasciato questa valle di lacrime per un ictus improvviso e letale. Il Vice-Presidente della Fondazione è rimasto coinvolto in piccoli scandali legati a certe malversazioni che lo hanno sfiorato appena sì, ma indotto a rassegnare le dimissioni da ogni incarico e iniziare una nuova vita in un lontano altrove.
Del vasto impero della Nobildonna resta in piedi soprattutto l'aspetto più mecenatesco, quello legato a musei e Borse di Studio per promettenti artisti del terzo mondo.
Il resto del suo regno esiste ancora, ma non è più in testa a lei, ovviamente, né a nessun parente o esponente della sua vecchia guardia.
Sembra piuttosto che ci sia di mezzo, ora, qualche amico dei miei soci informali della fase della raccolta delle informazioni.
Quella gente mi turba, non ve lo nascondo.
Ma, purtroppo per me, non è più affar mio.
Io sono morta, e questo lo sapete tutti, lo avete letto, lo avete ascoltato nei TG.
Tutta la bellezza, la ricchezza accumulata, il lusso che mi aveva a lungo circondata, la seconda vita da professionista dei Servizi, l'aspettativa di una pensione dorata e precoce non rappresentano più niente per me.
Io stessa non sono
Ho molti rimpianti, uno più inutile dell'altro.
Molti, ma non quello: non rimpiango di aver rinunciato a fare la moglie velata di qualche signorotto del mio paese d'origine, barricata lì a sfornargli marmocchi e vivere nell'ombra.
Le luci dello splendore, della ricchezza, del potere che si prende tutto mi hanno sempre attratta. Il mio corpo e l'infantilità di quasi tutti i maschi mi hanno fatto da passaporto. L'amore e le altre stupidaggini da signorine cerca-mariti non mi hanno mai distolto dal mio intento.
Mi sono fatta farfalla, mi sono fatta leonessa. Elegante e spietata, ho spiccato il volo verso il sole. Non era il sole. Era una stupida griglia acchiappa-insetti. La farfalla ci ha sbattuto contro, si è bruciata le belle ali, ha perso tutto e ora, sappiatelo, vi invidia la vita soltanto.



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