mercoledì 31 gennaio 2018

Bik McFarlane, gli H-Block e lo sciopero della fame

"Non ci si  ferma mai finché non si raggiunge la meta." Bobby Sands

Bik Mc Farlane a Milano
Bik McFarlane a Milano

Bik McFarlane è una figura che è stata molto importante all'interno dell'IRA e tuttora ha un ruolo di rilievo nel movimento repubblicano irlandese; io ho avuto la fortuna di incontrarlo a Milano e di ascoltare la sua storia direttamente da lui. TG


Gerard Sands al funerale di suo padre Bobby.

TG: Bik tu sei stato un comandante dell'Esercito Rivoluzionario Irlandese; come sei arrivato a fare una scelta di questo tipo? Che clima si viveva nell'Irlanda del Nord all'epoca dei troubles? E quale influenza ha avuto su di te il contesto sociale e politico dei primi anni '70?

BIK: Sono nato in un quartiere a Nord di Belfast, normalmente non dico l'anno, ma tanto immagino che tu lo sappia, quindi va bene così... L'area da dove vengo si chiama Ardoyne ed è una zona molto dura che era diventata anche più dura durante il conflitto Nord-irlandese quando le truppe britanniche erano per le strade. Alla fine degli anni '60 ero un giovane studente che andava in un seminario del Nord Galles per diventare prete, cosa che molti dei miei amici trovavano piuttosto bizzarra. Ho studiato lì per un paio di anni. In quel periodo, era iniziata la campagna per i diritti civili in Irlanda del Nord, per portare giustizia, i giusti diritti e uguaglianza per i cattolici nazionalisti che venivano discriminati dal regime che era stato messo in piedi 50 anni prima. I britannici avevano preso il controllo del Nord-Est dell'Irlanda dopo le Guerre per l'Indipendenza Irlandese, negli anni tra il 1916 ed il 1922. Per un periodo di circa 50 anni i britannici hanno dato modo di governare quella parte del paese a maggioranza Unionista filo-britannica ad un solo partito che ha creato discriminazione, ingiustizia e desiderio di rivalsa nell'altra parte della popolazione. Gli irlandesi volevano muovere una campagna per i diritti civili sul tipo di quella condotta qualche anno prima in America da Martin Luther King e dai neri afroamericani, ma la risposta dello stato a quella protesta pacifica è stata di una violenza assoluta.
Quando i soldati attaccarono le persone riunite nella marcia per i loro diritti civili a Derry, attaccarono anche le aree in cui vivevano quelle persone, le forze in campo erano la Royal Ulster Constabulary, una polizia costituita al 95% da elementi appartenenti alla comunità lealista. Attaccarono le persone, bruciarono le case, uccisero e ferirono la gente. L'IRA a quei tempi tentava di difendere i cattolici nazionalisti, ma non era sufficientemente equipaggiata per fronteggiare quelle forze armate e per molto tempo è stata profondamente criticata per non aver saputo difendere la propria gente da questi attacchi.
Quando io tornai a casa dal college eravamo nel mezzo di questi attacchi; tentai di difendere la mia area che soffriva pesantemente di queste situazioni. Ripartii per il college, ma tornai a casa nell'estate del 1970. A quei tempi l'IRA si era divisa, la Provisional IRA che era predominante nella mia area si era equipaggiata con armamenti sostanziali. Molti dei miei amici si unirono all'IRA, eravamo tutti ragazzi tra i 18 anni e la ventina d'anni. Anch'io giocavo con loro nella stessa squadra di calcio, anch'io come loro volevo diventare un calciatore, volevo diventare un musicista, volevo diventare... E fu così che anch'io venni coinvolto nell'IRA all'inizio degli anni '70. L'IRA aveva finalità totalmente difensive dagli attacchi delle truppe britanniche. Una delle aree principali venne messa sotto coprifuoco nel luglio del 1970. C'erano 3000 soldati britannici che seguivano il coprifuoco in West Belfast e sistematicamente pattugliavano le strade e perquisivano le case alla ricerca delle armi che l'IRA stava raccogliendo per difendere la gente. Alla fine del terzo o quarto giorno di coprifuoco alcune donne, ragazze e bambini di un po' oltre quella zona di West Belfast; circa un migliaio di persone, marciarono attraverso le truppe britanniche per rompere il coprifuoco. Durante il corso di quel coprifuoco i soldati uccisero 3 o 4 persone, uno di loro era un fotografo polacco che i media britannici screditarono immediatamente imputandogli di essere un cecchino comunista che era in Irlanda per addestrare i volontari dell'IRA. Non si è potuto uscire di casa per tre giorni, così non si poteva nemmeno andare a fare la spesa e per quei giorni in casa non c'era niente da mangiare. Questa era la tipica situazione che volevamo rompere.


I 7 volontari repubblicani irlandesi che parteciparono al primo sciopero della fame nel carcere speciale di Long Kesh nel 1980.

TG: Fu così che iniziaste a rispondere agli attacchi delle truppe britanniche? E cosa accadde dopo?

BIK: La campagna offensiva dell'IRA cominciò in quel periodo ed andò avanti negli anni seguenti. Ci furono combattimenti intensi un po' dappertutto, a Belfast e nelle aree del Nord, contro l'esercito britannico, la polizia ed i lealisti. Nel 1971, il governo britannico ha dato inizio alla sua politica d'internamento dei prigionieri dell'IRA nelle prigioni di massima sicurezza. Centinaia di persone vennero arrestate e furono introdotte anche tecniche di tortura in diversi centri di tortura. Venne aperto un campo di raccolta appena fuori da Belfast e misero lì i prigionieri, in strutture che erano esattamente come quelle utilizzate per i prigionieri della Seconda Guerra Mondiale. Non c'erano giudici, avvocati e nemmeno diritti legali, nessuno era autorizzato ad avere un legale, non potevi fare richieste di nessun tipo, non c'era appello. Funzionava così. Quando venivi arrestato non sapevi che cosa ti sarebbe successo, ti portavano via una mattina, ma non sapevi se ti avrebbero tenuto in prigione per qualche giorno o per qualche anno. Avevi con te solo i tuoi vestiti. Alcuni appartenenti all'IRA furono portati davanti ad una corte perché erano stati trovati in possesso di armi. In quel caso venivi giudicato e restavi in prigione per dieci, quindici anni, venti anni o quello che era. Ti mettevano in una sezione separata dai prigionieri internati per reati comuni. Quei prigionieri che erano andati davanti ad una corte venivano trattati come criminali, anziché come prigionieri di guerra; da questo fatto nacque una protesta nel 1972. Allo stesso tempo, c'erano delle negoziazioni tra i leader dell'IRA ed il Governo Britannico che portarono a garantire lo status di prigioniero politico, che era uno speciale status per tutti i combattenti dell'IRA. Accordo che permise di portare tutti questi prigionieri nel carcere di Long Kesh. L'isolamento dei prigionieri politici era necessario anche per evitare che le idee rivoluzionarie si diffondessero tra i delinquenti comuni. Intanto, proseguirono i rastrellamenti, le brutalità e gli scontri tra lealisti e nazionalisti; il conflitto si ingrandiva e molti altri prigionieri entrarono nelle carceri britanniche, c'erano continui tentativi di fuga che impegnavano le guardie. Crebbe anche l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale; organizzazioni come Amnesty International e la Croce Rossa cercarono d'intervenire in questa situazione, cosa che fece capire al Governo Britannico che il problema stava diventando politico e di un certo interesse anche al di fuori dell'Irlanda. Il Governo Britannico decise di togliere lo status di prigioniero politico ai detenuti dell'IRA, fece rilasciare alcune persone che non erano riconducibili alle attività delle lotte condotte dagli attivisti dell'IRA e cambiò il sistema giudiziario al quale questi prigionieri erano sottoposti. Venne nominato un unico giudice che doveva occuparsi di queste persone e le condanne salirono in un anno dal 42-43% al 85%.

TG: Come si arrivò a decidere di praticare lo sciopero della fame, nel 1981?

BIK: In quella situazione di negazione del nostro status di prigionieri politici, sono iniziate le proteste all'interno delle carceri. Kieran Nugent è stato il primo a rifiutare di indossare l'uniforme di criminale comune e a denudarsi, coprendo il proprio corpo soltanto con una coperta. I britannici decisero di attuare la tattica di cercare di criminalizzare la lotta ed il modo più semplice per farlo era quello di tentare di rompere il muro dei prigionieri politici, demoralizzandoli dicendo loro che erano criminali comuni. Vennero istituiti dei sistemi di persuasione non verbale che facevano ricorso ad un giudice speciale, a speciali forme d'interrogatorio che utilizzavano tecniche di tortura e carceri speciali, il tutto per demoralizzare e vincere la lotta dell'IRA. La vita nelle carceri britanniche era molto molto dura, i prigionieri non avevano vestiti ed i blocchi delle costruzioni erano fatti appositamente per evitare di avere contatti con il reparto dei prigionieri politici che erano rinchiusi in celle singole per non avere a loro volta contatti tra loro e con nessuno. La situazione tra il 1976 ed il 1981 diventò veramente terribile: le torture erano tremende, così dopo aver intentato ogni tipo di protesta, da quella delle uniformi, alla "no-wash protest", decidemmo d'iniziare lo sciopero della fame. Discutemmo di questo all'interno della prigione di Long Kesh; eravamo in 500 ed ognuno di noi voleva iniziare lo sciopero della fame. Quando dissi alla leadership dell'IRA (all'esterno del carcere) che noi stavamo considerando di fare questo tipo di contestazione, loro respinsero con forza l'opzione e non volevano che noi praticassimo questa forma estrema di protesta. L'IRA si rendeva conto che questa protesta avrebbe potuto essere portata avanti per anni e la riuscita o il fallimento di questo tipo di sciopero era assolutamente importante per entrambe le parti. Dall'interno della prigione il nostro leader discusse molto animatamente con chi dirigeva L'IRA da fuori perché avevano differenti opinioni e il punto chiave diventò la domanda che ponemmo al vertice dell'IRA. A quel punto, dicemmo: "Ok, se voi ci darete un'alternativa a questa protesta, noi l'accetteremo.". Ma l'IRA non riuscì a mostrarci un altro modo per uscire da questa situazione. Il primo sciopero della fame iniziò il 27 ottobre del 1980. Sette volontari iniziarono lo sciopero e lo portarono avanti fino quasi a Natale. L'eco della protesta giunse ovunque, anche in America, ci fu grande supporto e noi demmo un'indicazione ai Britannici dicendo che forse sarebbero riusciti a leggere quel documento in modo da portare al termine lo sciopero della fame, ma i britannici non presero in considerazione le nostre proposte. Una settimana prima di Natale, un prigioniero andò in coma, era il cinquantatreesimo giorno dello sciopero della fame. Il moribondo venne trasferito in un ospedale militare fuori dalla prigione e, nello stesso tempo, un prete che faceva da mediatore tra le parti stava andando in prigione portando con sé alcuni documenti del governo inglese che avrebbero potuto smuovere questa situazione. Gli scioperanti portarono a termine la loro protesta per salvare la vita a Sean McKenna. Poiché lo sciopero della fame terminò prima che qualcuno potesse negoziare su quei documenti, i britannici che non volevano trattare direttamente con l'IRA, era un agente segreto del MI5 che doveva incontrare il prete, decisero di non applicare lo spirito di quei documenti. Decisero di rifiutare di darci i nostri vestiti civili, come era scritto in parte di quei documenti ed in questo modo hanno deciso che ci avrebbero completamente distrutto.


I dieci volontari nazionalisti irlandesi che morirono durante il secondo sciopero della fame a Long Kesh nel 1981.

TG: Che cosa fece allora Bobby Sands?

BIK: Bobby Sands che era l'ufficiale in comando all'interno del carcere andò dagli scioperanti e disse che lui avrebbe negoziato con l'amministrazione britannica per cercare di smuovere questa situazione, ma loro rifiutarono e gli dissero che se tutti i suoi uomini non avessero indossato le uniformi carcerarie e fatto precisamente quello che le guardie britanniche gli avessero detto non ci sarebbe stata fine alla loro protesta. In questa situazione non avevamo nessuna scelta; dovevamo litigare ancora con l'IRA fuori dalla prigione per iniziare un secondo sciopero. Ci fu nuovamente un grosso litigio. Alla fine, ci dissero che eventualmente ci avrebbero supportato e Bobby Sands iniziò il suo sciopero della fame il primo marzo del 1981. Questo secondo sciopero della fame durò fino al 4 ottobre di quell'anno e 10 prigionieri repubblicani morirono. Scegliemmo di iniziare a fare lo sciopero della fame una persona alla volta, seguiti da un'altra persona due settimane dopo, seguiti a loro volta da altre due persone altre due settimane dopo. La ragione di questa strategia era che la responsabilità di continuare o terminare lo sciopero cadeva singolarmente su ogni individuo, Non c'era più una mentalità che permetteva di prendere le decisioni in modo collettivo. Era molto crudele e cinico, ma noi avevamo bisogno di dimostrare che eravamo in grado di arrivare fino alla fine. Noi decidemmo anche di avere una strategia di riserva e che se uno scioperante moriva, un altro avrebbe preso il suo posto e questo serviva per dimostrare la determinazione di continuare fino a che una risoluzione del problema fosse stata raggiunta. Il giorno prima che Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame noi andammo tutti a messa indossando solo i pantaloni della divisa. Quel giorno Bobby Sands  mi chiese se io avessi i nomi della strategia di riserva ed io risposi di sì e che lui doveva preoccuparsi per quello. Poi, guardandomi mi chiese: "Chi hai confezionato per sostituire me?". In altre parole, quando morirò chi mi sostituirà? Ed io pensai che questa questione era molto crudele. Gli dissi che l'indomani avrebbe iniziato lo sciopero della fame ed avrebbe avuto abbastanza a cui pensare. Avrebbe avuto la visita della famiglia e non aveva bisogno di preoccuparsi, ma a metà di quello che stavo per dire m'interruppe e disse: "Tra due mesi io non sarò più qui, ma tu devi esserci e tu devi sapere quello che stai per fare."
Era difficile tenergli testa perché Bobby era una persona molto determinata. Lui era convinto che non sarebbe sopravvissuto, ma è importante capire che lo sciopero della fame non era impostato sul morire, ma sul costruire pressione sul nemico o sull'opposizione per avvicinarlo alla nostra posizione e negoziare.
Lo sciopero della fame iniziò e durante il suo corso noi adottammo diverse tattiche. Bobby Sands venne scelto come candidato alle elezioni per Westminster, partecipò e fu eletto al parlamento britannico. Prese il doppio dei voti di Maggie Tatcher, questa fu una buona cosa, ma le due settimane successive a questo fatto i britannici cambiarono la legge per essere eletti in parlamento ed i prigionieri non poterono più entrare in parlamento. Durante il corso dello sciopero della fame molti personaggi tentarono d'intercedere per Bobby Sands. Il Papa inviò un suo emissario e così fecero anche i politici irlandesi, i politici inglesi e la Corte Europea dei diritti umani. Molte persone vennero in visita nella prigione degli H-Block. La maggior parte tentò di mettere sotto pressione coloro che avevano intrapreso lo sciopero della fame, ma non cambiò niente. I britannici erano determinati a non cedere ed il 5 maggio del 1981 Bobby Sands morì a causa dello sciopero della fame. Venne rimpiazzato nello sciopero della fame da John McDonnell e fu seguito da altri otto prigionieri repubblicani che morirono tutti nel corso di un paio di mesi. Mickey Devine fu l'ultimo prigioniero a morire il 20 agosto del 1981. Lo sciopero della fame terminò in ottobre, principalmente perché alcune famiglie, le madri o le mogli di questi uomini intervennero facendo somministrare delle cure ai prigionieri che cadevano in coma. Ciò significava che con l'intervento medico diventava impossibile portare a termine lo sciopero della fame. Un mese dopo il termine dello sciopero i britannici introdussero nuove misure che permettevano ai prigionieri di indossare i propri abiti. Nasceva così l'esigenza di cercare una nuova strategia per continuare la protesta. Noi eravamo in contatto con delle compagne detenute nella prigione di Armagh, tre di loro parteciparono al primo sciopero della fame, Mairéad Farrel che poi venne uccisa dalle SAS a Gibilterra, fu una di loro. Decidemmo insieme a loro che le proteste dovevano continuare. Dopo lo sciopero della fame protestammo per la segregazione totale nella quale eravamo tenuti e nel 1983 in 38 prigionieri riuscimmo a scappare dal campo di Maze.

TG: Come comunicavate all'interno del carcere?

BIK: In prigione imparammo la lingua irlandese (il gaelico), ma non avevamo libri, matite o altri materiali didattici. Per noi era importante comunicare attraverso questa lingua perché le guardie non potevano capirci e questo ci permetteva di parlare delle nostre strategie anche in loro presenza. Fu in quegli anni che la lingua irlandese conobbe un grande interesse espandendosi in modo massiccio nel Nord, particolarmente a Belfast, dalle scuole primarie fino al college. Bobby Sands fu una delle figure chiave che contribuì a diffondere la nostra lingua e la nostra cultura.

Bik McFarlane prima di una sua esibizione canora a Milano
Bik McFarlane prima di una sua esibizione canora a Milano

TG: Bik, come è stato deciso che tu restassi vivo? Quanto tempo sei rimasto in prigione? E come hai fatto ad essere così forte?

BIK: In totale ho passato 20 anni della mia vita in prigione, compreso un anno di carcere ad Amsterdam.
Sceglievamo i volontari per lo sciopero della fame secondo la loro provenienza geografica, ce n'era uno di Belfast, uno di Derry; sei erano di Belfast e gli altri erano di differenti aree. Qualcuno doveva sopravvivere per avere la responsabilità di prendere le decisioni e proporre le strategie e avere la leadership all'interno della prigione. A me è stato chiesto di fare quello.
Durante il periodo dello sciopero della fame noi tutti eravamo messi sotto pressione, quello che mi aiutò a conservare la mia forza fu l'immagine di Gerard, il figlio di Bobby Sands, che camminava al funerale di suo padre. E poi c'era anche un'altra fotografia, quella del figlio di John McDonnell appoggiato sulla bara di suo padre. Entrambe questi bambini erano intorno ai 6 anni d'età; quando noi vedemmo queste fotografie capimmo che non potevamo fallire.

Joseph McDonnell piange sulla bara di suo padre John McDonnell.


venerdì 26 gennaio 2018

Giornata della Memoria: Convegno-Concerto su Mario Castelnuovo-Tedesco alla Palazzina Liberty sabato 27 gennaio h 14

"Mi sarei vergognato moltissimo se mi fossi scoperto un uomo buono solo di parlare e incapace di tradurre in atto le proprie idee" Platone

Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell'Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. In memoria di quell'evento, dal 2005, è stato deciso di dedicare il 27 gennaio di ogni anno al ricordo dell'Olocausto compiuto dai nazisti nei confronti del popolo ebraico.
Domani, alla Palazzina Liberty Dario Fo e Franca Rame, in Largo Marinai d'Italia 1, a Milano, si celebrerà il compositore di cultura ebraica Mario Castelnuovo-Tedesco con una tavola rotonda-concerto sulla storia del compositore e la sua produzione musicale con un focus specifico sul repertorio di grande bellezza relativo alla musica vocale da camera. Tra i relatori Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Mila De Santis (storica della musica dell’Università di Firenze) e Oreste Bossini (critico musicale e giornalista) Al loro fianco, il musicologo e pianista Claudio Proietti, il soprano Valentina Coladonato e il tenore Mirko Guadagnini a completare il quadro storico-musicale su Castelnuovo-Tedesco, ed eseguire gli "Shakespeare Sonnets - opera 125" e i "Duetti" (3 Shakespeare Duets – op.97).

L'evento avrà una durata di circa due ore, l'ingresso è gratuito fino a esaurimento dei posti in sala.
Credo che il concerto verrà diffuso radiofonicamente da Rai Radiotre attraverso la trasmissione Piazza Verdi, in onda in diretta domani alle ore 15,00. TG

Mario Castelnuovo-Tedesco
Mario Castelnuovo Tedesco è stato storicamente il capostipite di una folta schiera di compositori moderni, italiani e non, interessati alla chitarra. E’ uno dei compositori più creativi e poliedrici del nostro secolo. Nato il 3 aprile 1895 a Firenze, discendente da  famiglia ebrea, fin da fanciullo manifestò precoci e spiccate doti musicali, ereditate forse dalla madre Noemi Senigaglia.
Programma in scaletta:
Primo blocco: 10 minuti
Oreste Bossini
- Saluto di benvenuto, tema dell’incontro, presentazione di tutti i partecipanti.
- Video di saluto di Diana Castelnuovo-Tedesco, nipote del compositore (1’30’’)
- Parola a Filippo del Corno sull'importanza della riscoperta di autori contemporanei “dimenticati” come Castelnuovo-Tedesco (5’). La parola passa a Mila De Santis.
Secondo blocco: 30 minuti
Mila De Santis
- Introduzione a Castelnuovo - Tedesco: chi è, la sua vita di uomo e compositore con passaggio sul lavoro per il mondo del cinema e le composizioni per chitarra per arrivare direttamente al cuore del tema: la musica vocale da camera.
Nel mezzo andrà inserita la proiezione del video di Alessandro Marangoni (3’) che racconta le qualità di Castelnuovo-Tedesco nel suo comporre per pianoforte.
Nel parlare di musica vocale da camera la parola verrà poi passata a Claudio Proietti.
Terzo Blocco: 10 minuti
Claudio Proietti: breve introduzione agli Shakespeare Sonnets (analisi storico-musicale)
Quarto blocco: 35 minuti
Esecuzione sonetti (declamato-cantato)
53 – What is your substance (Mirko)
73- That time of year (Valentina)
106 –When in the cronicle (Mirko)
104- To me, fair friend (Valentina)
97 – How like a winter (Mirko)
71- No longer mourn for me (Valentina)
87 – Farewell (Mirko)
40 -Take all my loves (Valentina)
Quinto Blocco: 15 minuti
Mila De Santis/Claudio Proietti: Le caratteristiche del suo comporre per voce e strumento.
Sesto blocco: 17 minuti
Esecuzione duetti (declamato-cantato)
Romeo and Juliet
Lorenzo and Jessica
Katherine and Petruchio
Settimo blocco: 5 minuti
Oreste Bossini con Filippo Del Corno: conclusioni
Ringraziamenti finali di Mirko Guadagnini

Mila De Santis, storica della musica
Oreste Bossini, critico musicale e giornalista di Rai3
Claudio Proietti, musicologo e pianista
Valentina Coladonato, soprano
Mirko Guadagnini, tenore


martedì 2 gennaio 2018

Troglodyte in the Totem di Allegra Corbo

"L'arte è un modo di dire alla persone quello che non può essere spiegato con le parole." Anonimo


Totem dei Lepidotteri - Allegra Corbo

Come ho già avuto modo di raccontarvi, ho conosciuto Allegra Corbo a Jesi mentre ammirava la mia fotografia di Uri Moss che le ricordava gli anni trascorsi insieme ai Mutoid, in una ex cava di ghiaia a Santarcangelo di Romagna, a pochi passi dalle sponde del fiume Marecchia. Come promesso, il giorno dopo il nostro primo incontro casuale, ho raggiunto Allegra presso la galleria d'arte che la giornalista e insegnante Annalisa Filonzi ha allestito nella cantina della sua abitazione sita in via Mura Occidentali, 27 a Jesi. La visita alla Galleria USB è stata molto piacevole e particolare; non so se mostrerò fotografie di quando esposto in questo spazio dall'artista anconetana, poiché si è trattato di un'esperienza personale che ad ognuno di noi può dare sensazioni e significanze diverse: proverò però a descrivere quello che scendere in questa cantina buia ha suscitato in me.
E' stato come immergersi in un altro mondo, un mondo al di là del tempo e dello spazio. Visitare "Troglodyte in the Totem" è stata un'esperienza molto bella e interessante; la musica mi è stata di grande aiuto per introdurmi in questa atmosfera ovattata, anche se non capivo bene dove mi trovavo. Grazie alla piccola luce a led che mi è stata fornita prima di aprire la porta che si affaccia su una ripida scala di mattoni cercavo di orientarmi ed osservare cosa appariva nel buio della cantina. Ho trovato delle delle rappresentazioni di piccole figure femminili che sembravano fatte di ceramica, ma che in realtà erano disegnate su ossi di seppia appoggiati su piccoli cumuli di terra all'interno di nicchie nelle pareti. Con la lucina di posizione da bicicletta, mi era stata fornita anche la mappa della galleria con uno schema delle opere esposte; ero talmente disorientato che ho provato comunque ad avanzare casualmente, senza nemmeno sapere che cosa vedevo... TG

USB Gallery Jesi
Troglodyte in the Totem, schema delle opere esposte da Allegra Corbo.

Sul foglio di carta datomi da Allegra erano segnate alcune informazioni fondamentali che l'artista ha inserito nella piantina proprio per aiutare il visitatore a comprendere a cosa si trovasse di fronte. 
Ecco cosa mi hanno detto Annalisa Filonzi, la gallerista che ha anche curato la mostra, e Allegra Corbo, l'artista.

Annalisa Filonzi: Porto avanti il progetto della USB Gallery a cui ho dato questo nome proprio per far capire che questo spazio vuole essere un luogo di connessione tra le persone, ma anche di pensieri, esperienze ed emozioni. Mi piace la tecnologia e spesso mi sono interessata alla videoarte ed ad altri linguaggi contemporanei che si esprimono con media tecnologici. L'uso delle nuove tecnologie nell'arte mi interessa molto, anche se mi accorgo poi quello che ne esce mi emoziona meno rispetto all'arte realizzata in modo tradizionale.

Tony Graffio: Perché hai trasformato la cantina della tua casa in uno spazio espositivo?

AF: Ho utilizzato in questo modo la cantina della mia casa perché volevo uno spazio libero da ogni altro condizionamento e volevo portare lì le opere degli artisti che mi piacciono.

TG: Quando è nata questa Galleria? 

AF: Nel 2013, però non abbiamo un calendario preciso; grosso modo ho organizzato una mostra all'anno. Non mi occupo solo di questo perché io insegno italiano e storia in un istituto professionale della città. Volevo uno spazio privato in cui nessuno potesse influenzare le mie scelte e che mi desse la libertà di aprire quando voglio, perché sia io che gli artisti dobbiamo essere pronti ad aprire la mostra affinché possa funzionare bene. Una quindicina di giorni prima del vernissage partono gli inviti via email e la campagna stampa sui giornali che desiderano accoglierci tra le loro pagine cartacee o virtuali che siano.

TG: Sei un'appassionata d'arte? O sei una critica che segue anche altri eventi artistici?

AF: Sono una critica d'arte, nel senso che collaboro con Artribune e scrivo su questo giornale...

TG: Ma come? Mi ritrovo a fare pubblicità gratis per la mia concorrenza?

AF: (Ridendo) Eh, sì... Taglialo se vuoi...

TG: Ovviamente scherzo, so che Artribune ha più di 300 redattori sparsi ovunque, mentre io sono solo e faccio quello che posso esclusivamente per passione... Tornando a noi, a che anno risale la tua casa?

AF: Ho fatto un po' di ricerche ed ho scoperto che questo edificio ospitava una ex-filanda intorno ai primi anni del 1900, perché prima del 1909 in catasto non ci sono notizie. La proprietà è passata a varie famiglie fino a quando è diventato l'ambulatorio medico di mio suocero. Poi, noi abbiamo acquisito altre stanze contigue sistemando il tutto come lo vedi adesso destinando la cantina, quando possibile, all'arte.


Allegra Corbo e Annalisa Filonzi davanti alla porta della Galleria USB.


AF: Con lei ci siamo conosciute alcuni anni fa ad una mostra collettiva al Museo Nori de' Nobili di Trecastelli. Da allora ho iniziato a seguire Allegra più da vicino fino a quando è nato questo progetto che si chiude oggi.

TG: Non saprei come definirla, potremmo dire che questo esposizione che hai organizzato nella tua cantina è una "mostra esperienziale"? Oppure è un allestimento in un "site specific"?

AF: Sì, le opere sono nate proprio per essere esposte in questo spazio, potrebbe forse spiegarlo meglio l'artista, ma la visione dell'ambiente ne ha sicuramente influenzato la creazione suggerendone il tema e poi man mano la costruzione.

TG: Io con un nome come il mio non posso farti solo domande facili; vorrei chiederti qualcosa di un po' più "graffiante": posso provare a farti qualche domanda, magari un po' banale che però possa farmi comprendere meglio alcune cose?

AF: Fai pure.

TG: Apprezzo questo tipo di arte, ma poi come la si può fruire privatamente da collezionista? Questi pezzi dell'artista sono in qualche modo commerciabili? O servono solo a far parlare di sé?

AF: Io mi chiamo gallerista, ma in effetti lo sono solo fino ad un certo punto, nel senso che la USB è una galleria non commerciale; è più un punto d'incontro. Certo, mi fa piacere creare un rapporto tra il collezionista e l'artista, però questa non è un'opzione sempre così scontata... Questo spazio mi permette di organizzare situazioni di questo tipo, perché se fosse una galleria commerciale sarebbe anche un modo per banalizzarle acquistare opere di questo tipo. I pezzi sono in vendita però non è questa la parte più importante della loro presentazione al pubblico.

TG: Quando trovi dei pezzi nati appositamente in un luogo specifico non è facile decontestualizzarli e proporli in vendita per collocarli in altri posti. Vero?

AF: Sì.

TG: Vengono più che altro vissuti come ricordo di un'esperienza?

AF: Potrebbe essere anche così; però una cosa bellissima che mi ha dato questa mostra è stato il fatto che tutte le persone che poi uscendo all'aperto in cortile sono riemerse dal buio hanno trovato un particolare di un'opera sempre diversa in cui si sono riconosciute. La mostra è stata letta in modi diversi dai vari visitatori e c'è stato un rapporto diverso con ogni singola opera, per questo immagino che sia possibile apprezzare un pezzo piuttosto che un altro e desiderare possederlo. Che chi ha visto a suo modo queste figure femminili o chi ha ritrovato in esse un rapporto controverso con le amiche...

Allegra Corbo: Tu non hai letto il foglio dello schema introduttivo, ma le prime opere che incontri sono le amiche. Poi ci sono le danzatrici, anche se non sono intente a danzare.

TG: Mi ha fatto molto effetto trovare questi ossi di seppia molto chiari distesi sulla terra scura, perché mi hanno trasmesso un senso di femminilità che si trova proprio nel rapporto tra il corpo femminile e la fertilità della terra.

AC: Quelle forme alle quali ti riferisci sono le Veneri, ovvero delle piccole-grandi madri.

TG: Ti confesso che non ho toccato gli ossi di seppia, ma ho toccato la terra, perdonami, ma io amo sempre toccare tutto.

AC: Hai fatto bene. (risate)

Annalisa Filonzi: Massima libertà.

TG: L'idea dell'allestimento artistico e del percorso al buio è nata in accordo tra voi due?

AC: Sì.

AF: Lo ha costruito molto l'artista, io ero quasi all'oscuro di tutto... Beh, conoscevo il concetto che voleva esprimere, ma fino al momento dell'inaugurazione non ho visto le singole opere. Il merito è tutto di Allegra che è anche stata molto generosa nel mettersi in gioco con questa mostra...

TG: Scusami Allegra, come sai io non ho letto la tua presentazione, puoi dirmi quel grosso tronco che si appoggia sulle scale che cosa rappresenta?

AC: E' un tronco di mareggiata per metà dipinto di bianco e rivestito in parte con foglia d'oro. Un mio amico fotografo ha trasferito un medium su si esso in modo che lascia passare un'immagine che diventa quasi un tatuaggio su questa superficie.

TG: Interessante.

AC: Molto... quello è il Totem dei Lepidotteri.


Il cortile che porta alla Galleria USB.

TG: Avete avuto molto pubblico?

AF: Tantissimo. Di solito per l'inaugurazione arrivano almeno un centinaio di persone, cosa che è già un buon successo per noi. Il passa parola generato dal buon gradimento della visita richiama poi altra gente. In questa occasione, ho sempre avuto la casa piena di persone, fino ad ora abbiamo raggiunto circa i 250 visitatori.

Allegra Corbo: Certamente, siamo a Jesi e non a Milano...

TG: Guardate che anche a Milano la situazione nelle gallerie d'arte non è molto diversa, se non proprio in occasione di esposizioni di opere di nomi molto conosciuti o di ricorrenze particolari. Anche lì l'affluenza maggiore, se non l'unica, avviene in concomitanza con il vernissage... Al MAC di Lissone, un museo di arte contemporanea a sette minuti di treno da Milano, con ingresso gratuito, il pubblico si presenta per l'inaugurazione delle mostre temporanee in qualche centinaio di individui e poi ogni tanto capita che qualcun altro vada a vedere ogni tanto se c'è qualcosa di nuovo, ma tutto questo entusiasmo per andare nelle gallerie d'arte e nei musei di arte contemporanea non mi capita di vederlo tanto spesso...

AC: Infatti la gallerista è rimasta stupita del fatto che qui siamo riusciti a ricevere costantemente persone che volevano visitare la mostra, anche al di fuori della giornata dell'inaugurazione.

Annalisa Filonzi: Sicuramente, il fatto che molti abbiano apprezzato le opere di Allegra ha indotto coloro che ci hanno visitato a diffondere la gioia della loro esperienza ad altre persone per portarle qui a vedere quello che loro avevano scoperto.

TG: E' sicuramente un'esperienza positiva che ti permette di rientrare meglio in contatto con te stesso. Sembra particolarmente adatta ad un pubblico femminile, oppure si sente che è qualcosa pensato dalle donne?

AC: Ne stavamo parlando proprio ieri riguardando i commenti dei visitatori. Io non ho lavorato sul femminile e non ho fatto un lavoro pensando a tutti i riferimenti del femminile; ma è come se si fossero ritrovati lì. Ma al tempo stesso è lì anche tutto il maschile che c'è in me o che forse può mancare... E' anche un trittico da considerare che è composto dal figlio, dalla madre e dalla grandemadre che poi sono le tre età della vita: bambino adulto e vecchio.

TG: Mi piacciono molto le ricerche sul tempo e le età dell'uomo. Annalisa, questa mostra dobbiamo assolutamente prorogarla e farla vedere ad ancora più persone.

AF: In effetti, c'è addirittura chi ha richiesto la permanenza di questa mostra...

TG: Ok, perfetto, allora lo scriveremo prossimamente su Frammenti di Cultura... e anche su Artribune.

AF: Sarebbe bello, ma poi come farò con tutti gli artisti di futura programmazione?

AC: Mi piacerebbe che questa mostra venisse esposta anche da altre parti e che ogni volta cambiasse qualcosa.

TG: Va bene, proveremo a portala a Milano allora... In effetti, abbiamo uno spazio che potrebbe andare bene per questa mostra, proprio perché non è uno spazio esclusivo, ma uno spazio intimista. Mi spiace che i nostri amici del Basement avrebbero potuto avere una bella esperienza in questa galleria in cantina, ma non è detto che non vi conosciate e facciate anche voi qualcosa insieme a loro. Devo dire che abbiamo vissuto parecchie coincidenze sincroniche con Allegra e aver avuto la fortuna di vedere la sua mostra proprio prima che chiudesse, a poche ore dalla mia partenza di Jesi, si aggiunge a quelle già sottolineate che ci hanno portato a conoscerci e a riflettere su queste cose.

AC: Mi ha fatto piacere che tu sia passato a visitare la mia mostra.

TG: A questo punto so che ci tenevi a leggermi le parole che hai scritto come presentazione della mostra e che hai affisso sulla parete interna della cantina, prima della discesa nel profondo di ciò che hai fatto e che simboleggia anche la discesa verso il nostro io profondo.

AC: Lo leggo perché tu non lo avevi visto durante la tua discesa.

TG: Fai pure.

AC: Troglodyte in the Totem. Casa di Annalisa. Qui abita con il marito e il figlio; è una casa antica di Jesi, era parte di una filanda dove si lavoravano i bachi per la filatura della seta. Apparteneva alla famiglia, si scende per i cunicoli scavati per la conservazione delle cose. Il sotterraneo ora è la galleria di Annalisa. Mura piene di tempo, ricordo, vita, corpo, dolore, tradizione, amore, fantasmi, cellule, cosmo. Per me torna ad essere un caverna. Qui non si racconta nulla, tutto è qui da tempo, nel buio luminoso e fresco della terra nel suono sordo dell'acqua e del corpo quando ti tappi le orecchie del pianto che ti rimbocca i polmoni alla nascita. Si entra, si respira, ci si ferma. A volte manca un po' l'aria. E' tutto bianco nella cecità del volo. E' tutto nero quando ci si reimmerge nelle radici della nostra famiglia. In fondo c'è un uovo e degli ossi di seppia, per me è come entrare nel mio corpo. Ci sono diverse donne che sono tornate sempre differenti, sempre le stesse. L'arte non esiste qua, solo il buio luminescente e perlato nel nero di seppia. Un reame sottoterra dove avremmo trovato radici se fossero rimasti gli alberi. Qualche albero c'è ancora, ha le vene al posto delle radici.

TG: Allegra, la tua arte è particolare, non credo che tu la pensi per un ricavo economico, ma perché senti di voler esprimere quello che hai dentro...

Allegra Corbo: Io non so nemmeno che cosa sia il commercio. Magari lo sapessi... sarebbe più proficuo per me, ma quella non è proprio la mia storia.

TG: Qual'è la tua soddisfazione nel presentare un tuo lavoro? Sta nel piacere di mostrare o nel piacere di comunicare e far capire il tuo pensiero? O sta nel pensare e creare?

AC: Ultimamente, ho capito che quello che fa un artista o che faccio io, che non so se sono per forza un'artista, è un agire che non viene nemmeno troppo elaborato. Non c'è una grande progettazione, ma un'azione creativa per me indispensabile e vitale. Non potrei fare a meno di fare quello che faccio. E' un fare che al tempo stesso è abbastanza inconsapevole e abbastanza sacro. E' poi chi guarda il mio lavoro che vede l'aspetto artistico di ciò che ho fatto. Io non mi pongo nei termini di chi fa arte; io interpreto qualcosa e forse esprimo un messaggio che a volte non so nemmeno spiegare da dove provenga. Fondamentalmente, trasmetto un messaggio. Questa mostra è nata in questo modo: con Annalisa abbiamo analizzato lo spazio a nostra disposizione e abbiamo proposto questo passaggio della discesa nel buio, della famiglia, della casa e di tutti queste informazioni che si stringevano sempre più fino a portarmi a questa figura di colui che abita in una caverna come un troglodita.

TG: A livello psicoanalitico la casa ha un significato ben preciso; nei livelli più alti dell'abitazione sta la spiritualità ed i sentimenti più elevati, mentre nella parte più profonda e nelle cantine troviamo le parti più basse degli istinti umani. Può essere che tu abbia voluto analizzare un rapporto del genere che scavasse nell'interiorità più nascosta delle persone che sono entrate in questo spazio?

AC: Io la vedo esattamente al contrario questa formula. L'altro giorno un ragazzo che è passato di qua ha saputo esprimere questo concetto molto bene dicendomi: "E' come quando fai meditazione, entri in una profondità ed in un buio del tuo corpo che scende sempre più." E per scendere intendeva dire entrare in se stessi. Più scendi nel profondo di te stesso, più trovi la luce. Questa mostra è un po' così, può aiutarti a trovare quella parte luminosa del tuo essere, ma ci vuole un po' di tempo per raggiungerla.

TG: Le esperienze fatte dai visitatori, che poi ti vengono comunicate da loro, ti sono d'aiuto?

AC: Tutto quello che viene detto dai visitatori, e si tratta di considerazioni di tutti i tipi, sono parte della mostra e una parte dell'umanità. E' come se, attraverso gli oggetti che io ho disegnato, fatto, costruito e assemblato qui, loro trovassero un contatto con qualcosa di personale che poi mi raccontano uscendo dalla mostra. E' bello mettere insieme qualcosa dell'umanità e che si è formato grazie al tuo lavoro. O meglio, è bello che qualcosa che ho fatto risuoni in altri che poi riescono ad immedesimarsi nei sentimenti altrui e nei loro. C'è chi riesce a vedere il suo bambino mai nato; la madre scomparsa; il proprio corpo operato o si ritrovano prima della loro nascita. Ci sono molti tipi di interpretazioni.

TG: Vite precedenti?

AC: Anche. E molti escono da quella porta con un gran senso di pace. E' strano che al buio con una piccola torcia vedano tutte queste cose e trovino la pace. Di solito al buio le persone hanno paura, qui nemmeno i bambini hanno avuto paura. Tanti bambini sono scesi da soli e l'hanno fatto più di una volta.


Poso insieme ad Allegra per mostrare un'altra strana coincidenza: sia lei che io indossiamo un ciondolo d'argento coniato a mano più di 60 anni fa, proveniente dal Rajastan, si tratta di un gioiello molto raro che rappresenta una divinità guerriera indù.

Chi è Allegra Corbo
Diplomata come Maestro d'Arte in Oreficeria e arte dei Metalli, presso la Scuola d'Arte Mannucci di Ancona, si laurea in Pittura all'Accademia di Belle arti di Bologna. 
Dal 1988 al 2004 collabora come attrice, performer, scenografo, scultrice e tecnico con: la compagnia teatrale Societas Raffaello Sanzio, il circo cyberpunk Mutoid Waste Co., poi Mutek di Joe Rush, con Officine Alchemiche e Mama Ferox. 
Dal 1996 espone a livello nazionale e internazionale in gallerie, happening e festival di arte contemporanea e della scena di arte Visionary, Underground e Pop e partecipa ad eventi di Arte Urbana con murales, grandi collage, stendardi, sculture di fuoco, performance, editoria. 
Dal 2008 al 2014 è Direttore Artistico del festival Pop UP! Arte Contemporanea nello Spazio Urbano (a cura di MAC-Manifestazioni Artistiche Contemporanee) ad Ancona, dove presenta artisti italiani e internazionali in sperimentazioni istallative e wall painting di grandi misure, progetti site-specific e Street Art. 
Dal 2008 al 2014 è Art Director nel team della MAC-Manifestazioni Artistiche Contemporanee per progettazione, cura e allestimento di eventi e mostre di arte contemporanea (Pop UP! Arte contemporanea nello spazio urbano, LucidAncona, Videodromo, Area Spazio, Jasad-The Arab Body, Hanging, Officine del Colore Naturale, ecc). Art director e Tutor di Mac, nei workshop, con studenti ed artisti: Pop Up! Contest di Poster Art (con studenti del liceo artistico) Pop Up! The City (con gli studenti della facoltà di Design, Hongik University di Seoul, Korea: interventi di Arte Urbana nel quartiere degradato di Daheango) Area, spazio per comunicare (progetto per i giovani, pensato per costruire uno spazio comune, attraverso il linguaggio della parola, gestuale, grafico, artigianale, digitale, che finalmente sfocia nell'azione artistica). Officine del Colore Naturale (un progetto di ricognizione e valorizzazione delle potenzialità artistiche presenti sul territorio regionale; laboratori tra i giovani talenti marchigiani, con artisti e artigiani dal profilo internazionale e imprese locali, per dar vita a un movimento attorno alla téchne del colore naturale).
Nel 2015, progetta Vertigo Truth, una istallazione urbana e di street art nel Parco Sculture di Mutonia (comunità artistica Mutoid Waste Co.) a Santarcangelo di Romagna con l'artista Su-e-Side. 
Dal 2012 iniziano anche le sue attività nel campo dell'infanzia e adolescenza con i progetti Children in the Forest, Lupus et Agnus (trekking di Arte Urbana con le fiabe di Esopo), Cadavre esquisit (un “racconto” surreale per un libro-murales-tableau dipinto con i bambini su pagine giganti), Cosmogenio Specularum, the mirror is everywhere from Butterfly to Face (un lavoro sulla specularita' delle forme della natura per poi elaborare e inventare maschere e proto-libri, con ragazzi del liceo). Cantiere artistico con studenti delle Accademie di Belle Arti, durante la residenza artistica di Urban Superstar Show 2012, a Cosenza - collaborazione artistica con la scuola libertaria e montessoriana Serendipity di Osimo (Ancona) Nel 2010, pubblica il libro illustrato Aletheya e Cartataglio (in collaborazione con l'artista Andreco), stampati a mano in serigrafia da Strane Dizioni, e nel 2011 il libro Two Way Project Italy / Lebanon (progetto collettivo tra artisti italiani e libanesi, a Beirut).
Dal 1996 pubblica su riviste, magazine e fanzine. Art director per I libri Pop Up! The Book e Intruders di Luca Forlani (entrambi di Franco Cosimo Panini Ed.). 
Dal 1988 ha esperienze professionali come scenografo e tecnico luci con teatri, festival e compagnie di teatro nazionali ed internazionali.




Tutti i diritti sono riservati