venerdì 2 dicembre 2016

La scuola di Beslan, un'operazione culturale di Paolo Gallerani per non dimenticare gli orrori della guerra

Beslan 2004 è la raccolta di fotografie pubblicate su "La Repubblica" e "Il Corriere della Sera" da giovedì 2 settembre a venerdì 9 settembre 2004.

Giuliano Banfi, Vicepresidente dell'Aned, un'associazione che ha sede all'interno della Casa della Memoria e rappresenta tutte le deportazioni, commenta così l'inaugurazione della mostra di Paolo Gallerani: "Sono impressionato e contento di questa mostra perché con queste "macchine armate" Gallerani testimonia una volontà di pace. Esibire oggetti orrendi nati per la distruzione, in modo da scavarne le forme e manipolarne l'aspetto induce grande terrore. Come conseguenza, si produce così una reazione uguale e contraria capace da indurre nel visitatore una volontà di pace che quindi è nello spirito della Casa della Memoria. Un'altra cosa estremamente importante è che durante il periodo d'apertura della mostra: Le macchine armate sculture e frammenti visivi, Gallerani continuerà  a lavorare, implementando le sculture ed i momenti di riflessione con nuovi apporti di materiale artistico per rendere più vitale il ruolo della Casa della Memoria nel tessuto culturale della città. Siamo soddisfatti di constatare che in questo modo stiamo sviluppando un prezioso processo di autocoscienza nel visitatore."


Giuliano Banfi, Vicepresidente di Aned.

Personalmente, sono stato molto impressionato, dall'esposizione sopra tavoli di ferro, preparati dall'artista, delle riproduzioni fotografiche tratte dai giornali quotidiani italiani che mostravano i volti ed i corpi dei bambini e dei loro genitori colpiti dall'attacco terroristico degli estremisti islamici ceceni nel "Giorno della conoscenza", nel 2004, nella città di Beslan.
Ciò che non ci riguarda direttamente viene dimenticato, ma come possiamo non pensare alla tragedia che ha colpito coloro che hanno subito il dolore più grande?
Fa bene Paolo Gallerani a ricordarci fino a che punto può spingersi la crudeltà umana, o disumana, e ad accostare gli strumenti di guerra alle immagini della sofferenza che causa la sete di vendetta, di sangue e di potere.
La guerra ha cambiato il suo volto e ci coinvolge tutti in ogni luogo del mondo; vedere soffrire un mio simile colpisce anche me, indipendentemente da chi abbia sparato il primo colpo.
96 fotografie scelte tra 145 immagini documentano e testimoniano dell'eccidio di Beslan, una pagina di orrore della storia dell'umanità che ha tenuto il mondo col fiato sospeso per tre giorni e on può essere in alcun modo cancellata. Il dolore che colpisce noi tutti finisce nelle parole del poeta russo Evgenij Evtushenko, del quale riproduco una poesia ed un testo che descrivono perfettamente la tragedia. TG


La bomba dei terroristi islamici ceceni era piazzata nel canestro della palestra piena di bambini della scuola Numero 1 di Beslan

LA SCUOLA DI BESLAN di Evgenij Evtushenko

Io sono uno che non ha mai finito una scuola in vita sua
uno che ha sempre pagato per le malefatte altrui
ma ora vengo a te, Beslan,
per imparare davanti alle rovine della scuola tua.
Beslan, lo so, sono un cattivo padre io,
ma davvero dovrò assistere
alla fine di tutti i cinque figli miei
sopravvivendo nella vecchiaia per castigo?
Lo so, non sono in una città straniera
mentre cerco il mio cuore tra i fiotti del dolore
inciso goffamente col coltello
in quell'ultimo banco bruciato della scuola.
Che cosa farai mai in Russia tu, o poeta?
Paragonato al tritolo, sei un moscerino.
E non abbiamo oggi scusa alcuna
se sulla terra tutto questo accade.
Come ad un tratto lì a Beslam tutto si fonde ancora:
l'inafferrabilità, il caos, l'orrore
l'imperizia di saper salvare senza fare vittime
e al tempo stesso tutte quelle storie di coraggio.
E il passato, guardandoci, trema
e il futuro, promessa innocente,
tra i cespugli si sottrae al presente
che gli spara alla schiena.
Ma la mezza luna abbraccia la croce.
Tra i banchi bruciati e tra i cespugli
come fratelli vagano Maometto e Cristo
raccogliendo dei bambini a pezzi.
Oh Dio dai tanti nomi, abbracciaci tutti!
Che davvero dovremo seppellire senza gloria
accanto ai bambini di ogni credo
noi stessi nel cimitero di Beslan?
Quando andavano i convogli in Kazahstan,
stracolmi di ceceni ammassati l'un sull'altro,
il terrore futuro si stava generando là,
nel liquido amniotico di quei nascituri.
Laggiù, in quella prima culla sempre più cattivi,
si stringevano loro, felici di nascondersi così,
eppur sentivano attraverso il grembo della madre
il calcio dei fucili sulle teste.
E certo non pregavano Mosca
che li confinava nella steppa, dove tutto è piatto e spoglio,
come se per incanto sulla terra
Satana avesse cancellato i monti antichi.
Ma la lama ricurva della luna, lì
tra le fessure dei tetti nelle case di terra
ricordava loro il segreto dell'Islam
tra gli slogan sovietici dell'inganno.
E l'arroganza plebea di Eltsin,
e la fanfaronata di Graciov su quella "guerra-lampo"
li spinsero poi verso i primi attentati,
e allora alla guerra non ci fu più scampo...
Le kamikaze cecene portano esplosioni sul petto,
alla vita, e al posto della collana al collo.
E come sempre, tanti più morti si lasciano alle spalle
tanto più basso è il prezzo della vita.
Com'è cambiato il volto del firmamento,
la tenebra a Beslan esplode solo per i tank,
e ha sussultato al pensiero della fine
in quella scuola e in quel campo di basket laggiù
la mina innescata da Stalin.
Ma a niente serve la vendetta.
Salvaci, Dio dai molti nomi, dalla vendetta.
Finché ci sono ancora bimbi vivi
non ci dimentichiamo la parola "insieme".
Nessuno di noi è eroe da solo,
ma dinnanzi alla nuda verità tutti noi siamo nudi.
Io sto insieme ai bambini bruciati.
Sono anch'io uno di loro... Uno della scuola di Beslan... 
Traduzione di Nadia Cicognini
L'istallazione sui tavoli di ferro progettati da Paolo Gallerani

Quest'operazione culturale, vorrei evitare di chiamarla opera d'arte, in quanto a mio giudizio, prendere fotografia, scultura, poesia ed assemblare il tutto in un'istallazione è un po' diverso da creare qualcosa partendo da materiale originale che sia soltanto frutto della propria creatività. Tutto ciò è comunque molto interessante ed apre un discorso molto controverso che spero di poter affrontare nuovamente con Paolo Gallerani che invece sostiene quanto segue: 

"La fotografia è un documento che si brucia con un impatto momentaneo sui giornali o nelle immagini che scorrono nei video o alla tv. Io fermo e recupero queste immagini e presento la fotografia come opera d'arte. Tutte le fotografie che ho utilizzato, realizzate da bravi reporter o meno, diventa arte e deve essere considerata come tale. Collocando la fotografia in questo spazio io creo una scultura che vive nel presente. Una delle funzioni di ciò che si chiama arte, o della pittura e della scultura, non è produrre estetismi gratuiti, ma partecipare alla vita degli uomini." P.G.


Paolo Gallerani ed alla sua sinistra Andrea Kerbaker

IL PERDONO E' IMPOSSIBILE di Evgenij Evtushenko

La carneficina di parecchie centinaia di scolari innocenti a Beslan è ingiustificabile e per i terroristi non c'è perdono. Ma non c'è perdono neppure per noi se trenta e più terroristi hanno varcato il confine e raggiunto indisturbati la scuola dove hanno alacremente staccato le assi del pavimento sotto le quali fin dall'estate erano lì in attesa gli ordigni premurosamente lasciati dagli operai addetti alla ristrutturazione che poi sono stati appesi nella palestra sopra le teste dei bambini.
Non c'è perdono neppure per noi che non siamo stati in grado di salvarne così tanti. Volevamo, ma non siamo stati in grado. Riconoscendo il coraggio di coloro che hanno rischiato la propria vita, non dobbiamo temere l'amara lezione che ancora non abbiamo imparato a salvare vite umane al prezzo di minime perdite o senza nessuna. Non serve innervosirsi quando le corrispondenze giornalistiche sono discordanti e non sempre collimano coi dati ufficiali. Nessuna cronaca di nessuna guerra si fonda solo su dati ufficiali. Altrimenti non si raggiungerebbe mai una verità esaustiva.
Un po' di storia: per capire ciò che è avvenuto a Beslan non si può dimenticare l'annessione del Caucaso all'impero zarista e se il presidente Eltsin avesse letto Chadzi Murat di Tolstoj è assai improbabile che si sarebbe imbarcato in un conflitto coi ceceni. Temo che abbia rimosso anche il Kazachstan come vendetta nei confronti di alcuni ceceni che avevano combattuto dalla parte di Hitler. Di gran lunga più numerosi furono i russi e gli ucraini che diventarono collaborazionisti e tuttavia della loro colpa è stato investito un intero popolo. Ma furono molti i ceceni che combatterono fianco a fianco coi russi contro il fascismo e che furono decorati come Eroi dell'Unione Sovietica e insigniti di ordini e medaglie.
Quella profonda offesa inferta a un intero popolo che ha patito lunghi anni di deportazione si riflesse sulla sua psicologia e nelle pieghe più riposte del suo animo si rafforzò la speranza in un futuro d'indipendenza dalla Russia. Quando il tentativo di Eltsin di collocare il suo favorito al posto del presidente della Cecenia fallì e venne eletto invece con la maggioranza dei voti il generale sovietico Dudaev, il generale chiese senza indugio a Eltsin di essere riconosciuto.
La storia non tollera i se e i forse, ma non dimeno ritengo che se avessero steso a Dudaev un tappeto rosso e l'avessero accolto con l'orchestra e il picchetto d'onore, avessero aggiunto altre stellette alle sue mostrine e gli avessero donato un destriero arabo, e se poi Eltsin dopo aver bevuto forte con lui, al mattino avesse condiviso la sauna e quindi secondo l'usanza caucasica avessero inciso le mani e sfregato i tagli diventando kunak, fratelli di sangue, e nel Caucaso questo è considerato un gesto sacro, non vi sarebbe stata alcuna guerra. Ma lo scostante Dudaev, che si sentiva mortalmente offeso e aveva inoltre avuto prove evidenti di come i russi stessero per accordarsi coi rappresentanti di altre tejp (tribù) e anche con l'avventuriero Ruslan Labazanov, si rivolse ai separatisti ortodossi.
Sapute le intenzioni di Dudaev, il ministro della guerra Grachev convinse Eltsin che avrebbe domato la Cecenia con una "guerra-lampo" e gli promise che avrebbe preso Grozny addirittura nel giorno del suo compleanno. Tuttavia, questo piano non ebbe alcun esito trionfale.
Ma io, grazie al cielo, ho letto Chadzi Murat e conosco bene il Caucaso.
Nel 1993 in segno di protesta rifiutai di ricevere al Cremlino dalle mani di Eltsin l'ordine dell'"Amicizia tra i popoli", comprendendo che, se si fosse sviluppato un conflitto, esso sarebbe stato lungo e sanguinoso.
Dudaev fu ucciso in maniera del tutto assurda da un missile telecomandato, il neoeletto Maschadov non riuscì a spuntarla sui comandanti in campo ciascuno dei quali coltivava delle ambizioni personali e gli accordi per ristabilire la pace risultarono precari.
Gli atti terroristici in tutto il pianeta si sono trasformati in un ricorrente incubo quotidiano e la Russia non è sfuggita alla stessa sorte. Essere in grado di difendersi è indispensabile, ma un terrorismo al contrario non porterebbe a nulla di buono. Non esistono guerre non crudeli, ma il bilaterale inasprimento della crudeltà significa l'autodistruzione bilaterale. Prendiamo solo gli ultimi avvenimenti: l'attentato alla metropolitana di Mosca, ai due aerei e infine la cattura senza precedenti di ostaggi-bambini all'interno della scuola di Beslan...
Non ho nessuna ricetta su quale soluzione si debba adottare in una situazione che pare essere senza vie d'uscita. Ma non ci sono guerre senza soluzione. Ritengo che l'unica via d'uscita tra tutte quelle in apparenza insolubili e inestricabili dai nodi della politica non stia affatto in un approccio di tipo politico, bensì semplicemente in uno umano.
Per comprendere quale possa essere tale approccio mi sono seduto a un banco bruciato della scuola di Beslan...


Immagini che non vorremmo mai vedere. 


Al cospetto di tanta crudeltà, mi sembra fuori luogo parlare d'arte, pertanto, anche se avrei molte cose da dire che oltretutto rischierebbero di farmi emulare qualche critico (cosa che mi sono sempre ripromesso di evitare) o di apparire un po' troppo polemico. Specialmente per l'utilizzo scriteriato del lavoro altrui da parte di chi è convinto di trasformare l'attualità (ormai storicizzata) in arte, preferisco tacere e passare oltre. Fermo restando che in futuro affronterò questo discorso in modo più rigoroso. TG

3 commenti:

  1. Andrò a vederla, raccontata così sembra un assemblaggio, ma Gallerani dicendo: "Una delle funzioni di ciò che si chiama arte, o della pittura e della scultura, non è produrre estetismi gratuiti, ma partecipare alla vita degli uomini." ricontestualizza il tutto, dicendo l'unica verità evocando l'unico valore dell'arte, quello di partecipare alla vita degli uomini, alla loro memoria collettiva sociale, culturale e storica, il resto sono solo inutile estetismi, appunto, anche se è quello che ci vogliono fare credere, che la forma sia più importante dei contenuti.

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  2. Io trovo preoccupante che la nostra società sia diventata incapace di produrre qualcosa di bello.

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  3. Quasi esattamente quaranta anni fa ('77) fui invitato a intervenire con un'opera d'arte in uno qualsiasi degli spazi pubblici disponibili a Ferrara (la manifestazione si chiamava Evento '77).
    Scelsi il Manicomio (la legge Basaglia li aveva appena “aperti”) e all'interno di esso il reparto degli “irrecuperabili”, il B. Per 15 giorni mi sono chiuso lì dentro, perché pensavo che il contatto diretto e quotidiano con l'orrore della mente umana, della mente di malcapitate vittime innocenti della società avrebbe potuto insegnare alle mie velleità artistiche un'etica che ritenevo parte integrante e irrinunciabile dell'estetica. Se racconto tutto questo non è per il fatto che quell'insegnamento non mi sia stato impartito radicalmente, non è per rievocare, sia pur di sfuggita come sto facendo oggi, profonde ferite che ancora vivificano il mio lavoro, ferite che il chiusomente insondabile e purtroppo irreversibile, quello che oso definire una scelta precisa e la fuga per eccellenza, ha inferto per sempre al mio foro interiore, quanto per riferire un episodio successivo: alcuni intellettuali locali, prendendo a pretesto il prodotto del mio intervento, mi davano dello speculatore della miseria altrui. Ho ricordato (solo a me stesso, degli accusatori non mi importava niente) che Caravaggio si alzò la mattina presto per essere in prima fila ad assistere all'esecuzione della famiglia Cenci, per guardare bene il modo in cui usciva il sangue dalla gola di Beatrice, nel momento in cui il coltellaccio del boia incideva la carotide della “soave fanciulla”. L'artista deve stare in prima fila, rischiare magari per questo, sporcarsi, perché la con-passione gli richiede una testimonianza esatta (e nell'esattezza, aggiungo, ci deve essere il rischio di bruciarsi oltre che l'equilibrio del proprio distacco). Lo ricordo sempre, l'arte è liberazione, l'unica forma di liberazione possibile.
    Gallerani fa un'operazione di memoria, come Caravaggio dipigendo l'assassinio di Oloferne, ma come? Con un assemblaggio di fotografie che altri hanno scattato: per quanto ben inquadrate e incorniciate, non evitano che la presentazione soffochi l'opera. C'è da meditare sulla inadeguatezza del mezzo a rendere la tragicità di un evento e se posso permettermi di fare una critica, dai tempi di Caravaggio sono passati quattro secoli: non basta il verismo documentativo. Federico De Leonardis

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