martedì 29 novembre 2016

I poeti e l'arte, la politica, le masse (seconda parte di una conversazione con Tomaso Kemeny)

"I tempi cambieranno quando i poeti riempiranno i municipi, non i cantanti." Bob Dylan

In attesa di incontrarci con il Comitato Direttivo di "Poetry and Discovery" (evento aperto al pubblico) il giorno 1 dicembre 2016 alle ore 19,30, presso la Casa della Poesia, in via Formentini, 10 e di partecipare agli "Affari Poetici" di sabato 3 dicembre 2016 alle ore 15, sulla scalinata del Palazzo degli Affari di Milano, riprendiamo il discorso con Tomaso Kemeny muovendoci tra citazioni letterarie e pensieri personali. Scopriamo la sua opinione sul Premio Nobel, sulla globalizzazione, fino ad arrivare ad alcuni episodi del passato in cui il poeta ci racconta ciò che ha appreso dal suo maestro André Bréton o dagli operai della Marelli di Pavia.


Poesia visiva
Tomaso Kemeny legge le sue poesie alla Galleria d'Arte di Ugo Carrega: "Il Mercato del Sale", con Ottavia Piccolo, Milo De Angelis, Giancarlo Pontiggia ed altri poeti, 1977

Tony Graffio: L'arte oggi interessa ancora alla gente?

Tomaso Kemeny: Molti artisti contemporanei sono diventati come i buoni del tesoro, c'è ancora qualcuno che si esprime sinceramente, autenticamente, ma non sono molti. Vorrei andare a vedere la mostra di Jean Michel Basquiat che secondo me era un genio nel suo genere, e aveva un suo istintivo canone. Non è detto che uno debba teorizzare, come Platone che oltrepassava il brutto riuscendo a sublimare i comportamenti quotidiani attraverso un linguaggio che oltrepassava il volgare. Nel '900 Ezra Pound suggeriva a James Joyce di togliere i momenti delle vicende personali che Leopold Bloom trascorreva in stanza da bagno defecando e leggendo per evitare di vedersi negata la pubblicazione, ma Joyce era contrario e disse di no perché intendeva rappresentare l'uomo qual'era veramente, nella sua fragilità esistenziale e nella sua grandezza. Poiché tutti vanno in bagno, anche Bloom doveva farlo. Cosa completamente fuori dalla tradizione della scrittura, perché se leggiamo Giacomo Leopardi, ci accorgiamo che lì nessuno, tanto meno il poeta, espleta funzioni corporali nella rappresentazione.

TG: Quindi anche Piero Manzoni ha rotto una consuetudine?

TK: Certo, lui era un contestatore e andava bene così. Era contro il mercato e la sua merda d'artista, un po' come per Basquiat, (che usò la sigla SOSH = same old shit, la solita vecchia merda per alcune sue opere) era una testimonianza contro l'Impero del Brutto, lasciata in modo originale. Anche se poi anche le sue scatolette sono diventate oggetto di mercato e c'è perfino stato un idiota che ne ha aperta una non trovandovi dentro niente. Non si trattava di trovarci un contenuto, ma un concetto.

James Joyce Philadelphia University Tomaso Kdemeny 1987
Congresso Joyciano all'Università di Philadelphia, Pennsylvania, 1987

TG: Tornando al Premio Nobel, crede che facendo quelle scelte il premio perda credibilità ed autorità? Oppure la gente si adeguerà comunque?

TK: Secondo me, il Nobel ha perso importanza da anni, proprio per la scelta di premiare persone politicamente valide. Wisława Szymborska è una buona mediocre poetessa che è passata dal comunismo alla democrazia. E' una buona poetessa, ma non una gigantessa del verso, no? L'Accademia svedese ha sempre premiato persone che lottano contro l'ingiustizia, il che può essere una bella cosa. Bob Dylan, quando il mio eroe Martin Luther King scese in campo per gli spazzini che erano malpagati e quasi tutti neri, era andato a cantare al loro fianco. Erano gli anni 1960 ed era un ragazzo impegnato: giù il cappello, ma da questo a metterlo a fianco degli Ungaretti e Quasimodo, ce ne corre, no? Sono canzonette le sue, "light poetry", poesia leggera per i britannici di buon gusto.

TG: Sono in pochi che però hanno avuto il coraggio di dire qualcosa di questo tipo.

TK: Io non ce l'ho con lui, lo rispetto moltissimo, è un ottimo cantante e lui, come in generale gli ebrei, ha il senso del limite. Forse perché perseguitati, chi lo sa? E così non va a ritirare il Premio Nobel, come pare. Anche perché, te lo immagini in smoking a fare un discorso sulla poesia? Secondo me, si rende conto di essere una star in un'altra forma espressiva.

TG: Anche premiare Obama è stato un errore?

TK: Sì. In genere, davano i premi per la pace a quelli che dimostravano buona volontà, ma non m'è sembrato il caso di Obama. Non è colpa sua, non era al livello della situazione. Ci voleva un genio. Lui comunque è un brav'uomo. Se fossi un politico non mi metterei lì perché è talmente complesso... Non basta essere delle brave persone per diventare dei Winston Churchill.



TG: Torniamo ai problemi non risolvibili o difficilmente eludibili...

TK: Non che il poeta abbia queste capacità, ma il grande politico esiste, se non è corrotto o non lavora per l'Anticristo. Purtroppo, per essere eletti bisogna compiacere le masse e le masse di per sé rappresentano il brutto. Non in quanto singole persone, ma perché si sono fatte massificare. Non sono più individui. Oscar Wilde aveva scritto un bellissimo libro che parlava della decadenza della menzogna contemporanea. Perché una volta si mentiva per compiacere le attese dei lettori, praticando gli strumenti dell'arte. Ulisse che non riusciva a trovare la via di casa magari era intento in tutt'altre occupazioni, chi lo sa? Poi invece è diventato l'eroe dell'avventura della conoscenza in Omero prima che di Dante and Company (Vedi James Joyce). Secondo Wilde è la pratica alta della menzogna che permise a Dante di visitare in tre cantiche l'aldilà. Queste però sono menzogne belle, mentre oggi si tenta di mentire per imbrogliare il prossimo.

TG: E i politici sono maestri in questa pratica.

TK: Sono obbligati! Se uno di noi si presentasse alle elezioni sotto una qualsiasi bandiera e dicesse: “Evasori fiscali, farabutti che non siete altro e via di seguito”, non riceverebbe alcun voto. Invece coloro che dicono: “Diminuiremo le tasse e daremo lavoro a tutti”, vengono sempre applauditi. Il sistema politico in qualche modo è già pre-condizionato ed i soldi sono molto importanti. In America poi, è evidente, se non sei miliardario non puoi neppure presentarti.

TG: Siamo tornati al Dio Denaro. Tutto è controllato da lobby e dinastie di potenti. Hilary Clinton si dice che abbia speso un miliardo di dollari per una campagna elettorale che è costata come un viaggio su Marte.

TK: Forse l'America, tra tutti i sistemi è il meno peggio, anche se al suo interno ci sono dei temi razzisti totalmente deprecabili.

TG: Un sistema politico che si basa solo su due partiti mi sembra un po' esagerato chiamarlo democrazia.

TK: Al di là di questo, il grave è che loro fanno il doppio gioco per il petrolio, dando i soldi agli arabi che poi finanziano i terroristi. Arriveremo ad avere macchine che funzionano ad elettricità?

TG: Ci aveva già provato Nikola Tesla, ma non ha fatto una bella fine.

TK: Anche Enrico Mattei s'era messo contro le Sette Sorelle e forse persino Pier Paolo Pasolini che stava scrivendo “Petrolio”, prima che lo uccidessero.

TG: Stava documentando come alcune bande criminali eliminassero chiunque fosse contro la vendita del petrolio.

TK: Non è riuscito a finire il suo libro, ma come si fa a sapere se la sua è stata una tragedia personale o un delitto politico? Sembra strano, ma i cattivi non muoiono mai.

TG: (Rido) Né i brutti! Anche per i bambini la parola brutto contiene tutto e generalmente per loro significa il peggio.

TK: Anche per i mitomodernisti il brutto è visto infantilmente. Il brutto è un giudizio, una categoria morale, prima ancora che estetica. Ciò non toglie che uno può essere bruttissimo ed avere un comportamento altamente estetico, il problema non è la bellezza o la bruttezza fisica, ma un bene aggiunto che trascenda le bassezze quotidiane e storiche. Ad ogni modo cosa possiamo fare? E perché i poeti? E' questo che vuoi sapere, vero?

TG: Sì.

Circolo Turati Milano
Tomaso Kemeny con il poeta Cesare Viviani, ad un simposio sulla poesia al Circolo Turati di Milano, nel 1978.

TK: I poeti sono quelli meno vincolati dal sistema economico, come abbiamo visto. Un politico non può dire la verità, ed è il protagonista principe della decadenza della menzogna.

TG: Ad ogni modo in un modo, non dico ideale, ma normale, dovrebbero essere le masse a dire ai loro rappresentanti cosa fare. O almeno a chiedere di portare avanti le loro istanze e le loro preoccupazioni.

TK: Purtroppo non è mai stato così. Se ricordi, anche durante la rivoluzione francese c'erano le masse che andavano a vedere le decapitazioni e gridavano: “Bene!”. Poi, di colpo hanno fatto fuori Robespierre l'estremista per paura che venissero coinvolti, a loro volta, i mascalzoni. Che lui fosse esagerato e sanguinario, per quanto freneticamente rivoluzionario, è vero, forse per questo le masse, dopo, hanno festeggiato il ritorno del re.

TG: Secondo lei cosa ci riserverà il futuro?

TK: Io non sono un profeta, ma il problema grosso è che le religioni un tempo servivano per l'introspezione, adesso con l'Islam, politica e religione sono diventate un'unica cosa. Questo è un fatto molto pericoloso che già era stato denunciato da Dante Alighieri quando parlava dei due soli. I poeti non sono mica scemi: lui parlava del Papa nel mondo spirituale e dell'Imperatore nel mondo politico. Dante era perseguitato perché aveva messo Bonifacio VIII nella merda fino al collo. Era un uomo che faceva politica apertamente.

TG: Nel rapporto tra masse e potenti, sappiamo che è stato un movimento molto condizionato dall'America e dalla Chiesa, però il sindacato polacco Solidarność è stato davvero un'espressione democratica che ha avuto un grosso seguito popolare ed un effetto rivoluzionario decisivo. Non crede?

TK: Sì. Il meglio nell'uomo vien fuori quando c'è un tiranno e non ce la fai più. In Russia però è durata tanto l'oppressione. In Polonia c'è stata una reazione solo perché il Papa polacco ha finanziato Solidarność. Lì c'è stato un intervento esterno, non è che le masse si sono risvegliate e hanno detto basta. C'è stato un bravo condottiero che è stato Lech Walesa, ma ci sono stati anche dei mezzi.

TG: Però hanno lottato ed erano convinti di quello che stavano facendo.

Insurrezione di Budapest uccisione soldati sovietici
Budapest 1956, due rivoluzionari ungheresi camminano accanto ai corpi di sei agenti dei servizi segreti sovietici uccisi durante l'insurrezione.

TK: Anche in Ungheria nel 1956 c'è stata la rivolta, perché c'è un limite a tutto, no? I sovietici dicevano: “La fabbrica è vostra; qui c'è il paradiso”, ma la gente non arrivava a fine mese.

TG: La situazione era contraddittoria, più che un problema di mancanza di denaro, era un problema di carenza di beni e di libertà. Ed in definitiva, in Ungheria era il paese dove si stava meglio, tra tutti i paesi della cortina di ferro.

TK: Alcuni stavano bene, ma a parte questo, era la menzogna che veniva utilizzata per descrivere gli insorti come bande di fascisti e terroristi, mentre in realtà si trattava di intellettuali, studenti ed operai. Prima a Natale, il padrone dava dei regali agli operai, ma con la bugia che la fabbrica era del popolo, basta, non c'era più niente per nessuno. Era peggio di prima! L'operaio non è mica stupido. Come dice Gioachino Rossini che è stato uno dei più grandi geni italiani: “Quando mi toccano nel mio debole, una vipera diventerò.”. Se Renzi dimezzasse lo stipendio agli italiani...

TG: Renzi ha già deciso una cosa allucinante: devi lavorare 42-43 anni per avere la pensione, ma se vuoi andartene sei mesi prima devi pagare! Ma come, hai lavorato tutta la vita e sei ancora pieno di debiti? Qua c'è veramente la volontà di tenere in schiavitù la gente col debito!

TK: C'è anche il debito internazionale però! E' una cosa complessa che non tocca a un poeta dire. In passato, il sistema democristiano e socialdemocratico ha concesso delle cose giuste, ma al di là delle reali possibilità del paese.

TG: In passato è stato effettivamente così; certo il sistema non poteva stare in piedi, ma adesso la casta non la tocca nessuno ugualmente. Stesso discorso per gli sprechi e chi ha licenza di fare ciò che vuole. Pagano sempre solo i dipendenti ed i pensionati.

TK: Facendo l'Europa Unita, non è che gli altri possono pagare i debiti degli italiani. O degli spagnoli. O dei Greci. E' vero che ci sono paesi virtuosi, come la Danimarca, ma lì sono tutti onesti. O quasi.

TG: Le masse cinesi come si comporteranno?

TK: La Cina è il paese del terrore. I cinesi hanno sterminato tantissimi tibetani senza che nessuno dicesse niente. Un mio amico, rovinato dalle tasse italiane, ha portato la sua azienda in Cina per non chiudere e mi ha detto: “Che brava gente i cinesi. Pensa, lavorano 20 ore al giorno e dormono vicino alle macchine...”. Ma quale brava gente, questi sono schiavi! Io stesso conosco certe situazioni degli operai italiani, perché quando insegnavo all'Università di Pavia, negli anni '70, i lavoratori della Marelli mi hanno fatto fare una conversazione in fabbrica. In quell'occasione, ho fatto un discorso totalmente folle ed ho detto che anche gli operai hanno il diritto di sognare e così loro sono rimasti contenti di queste parole. Il lavoro della fabbrica toglie ogni valore estetico che invece l'artigianato aveva. L'artigiano fa, l'operaio assembla con ritmi innaturali. Cosa che aveva capito Charlie Chaplin ben 80 anni fa. Io dicevo che non ci restava che sognare e così ero diventato molto amico di questi operai. Io non sono un populista, ma queste erano persone umane. Anche simpatiche. Ad un certo punto, hanno deciso di chiudere tutte le fabbriche di Pavia e questi operai sono stati trapiantati non so dove, perché dicevano che qui non reggeva più quel tipo di produzione. Se i padroni hanno esportato i capitali e le attività c'era un motivo; pur tuttavia avrebbero dovuto diminuire le tasse in qualche modo per non espropriare alla gente stipendi orrendi, mantenendo privilegi incredibili a dirigenti che vengono pagati singolarmente come mille operai. Inclusi i cosiddetti rappresentanti del popolo. Ad ogni modo, bisognava evitare con ogni mezzo la delocalizzazione del lavoro e della ricchezza del nostro territorio andando contro l'ideale liberale e globalizzante dei banchieri. Qui però aveva ragione Trozkij quando diceva che la rivoluzione o è mondiale, o non è. In termini non rivoluzionari, i sindacati hanno sbagliato a non vedere cosa succedeva altrove. La globalizzazione non dovrebbe essere un meccanismo per lo sfruttamento globale, ma una proposta di crescita collettiva dell'umano. Non si può spiegare alle masse che noi viviamo decentemente perché in Cina lavorano fino a 20 ore al giorno. O perché in Africa non pagano e in Romania sfruttano ancora le persone, in pochi ascolterebbero. Tocca al poeta spiegare l'impossibile, perché, come diceva il mio maestro mai abbastanza riverito, André Bréton: “Dobbiamo amare solo l'impossibile perché il possibile lo lasciamo ai tiranni e ai farabutti.”. Il possibile è il dato; quello che sembra impossibile è comunque necessario per la giustizia, la bellezza e tutto il resto. La bellezza non è un fatto esteriore, ma è il seme della verità umana. Sin da quando l'uomo dipingeva le grotte con le sue pitture murali.

Tomaso Kemeny bambino nel 1942 sulle colline di Buda.
Tomaso Kemeny bambino nel 1942 sulle colline di Buda.

La conversazione è continuata, ma per dare una conclusione a questo discorso che introduce all'azione poetica, a che cos'è il mitomodernismo e alle sue linee guida, potremmo dire che precedentemente abbiamo affrontato soprattutto il significato della bellezza e dell'elemento mitico; forse senza dare un'adeguata spiegazione per ciò che è inteso come eroismo. A discolpa di questo fatto possiamo brevemente integrare questo argomento dicendo quanto segue: in tutte le cose c'è un lato negativo ed uno positivo, questo vale anche per i regimi totalitari, come il fascismo ed il comunismo. L'utopia è nel cercare di prendere qualcosa di buono da tutto, senza pregiudizi. L'esaltazione dell'eroico era presente nelle ideologie nazionaliste come qualcosa di elevato, naturalmente se per eroismo s'intendeva picchiare l'ebreo, questa non poteva essere una cosa accettabile trattandosi di brutalità oscena. Nel sistema sovietico si vantava l'eroismo di lavorare con dedizione, ma la figura dello stakanovista finiva per risultare l'esaltazione dello sfruttamento del lavoratore da parte di uno stato legittimato dal partito unico (Tra l'altro Stakanov era un attore in funzione propagandistica e non un vero lavoratore). Il mitomodernismo vuole scoprire l'umano nella sua profonda esigenza di giustizia e di bellezza. Si dà importanza all'azione per sostenere un'idea, mentre la maggior parte degli artisti non si interessano all'azione, anche per un eccesso di individualismo. Eroismo è passare dall'io al noi.

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