mercoledì 15 giugno 2016

Il trasferimento dell'emulsione della carta fotografica di Corinne Héraud (Pelliculage à jet d'encre) e le due serie di opere presentate al MIA 2016

Non sono il solo a pensare che la fotografia e la stampa digitale spesso uniformino troppo il risultato finale dell'artista. Corinné Héraud, una fotografa francese molto attenta alla tecnica ed ai contenuti delle proprie opere ha sviluppato un procedimento di trasferimento dell'emulsione fotografica dalla carta fotografica ad un altro tipo di carta stesa su un supporto di legno, passando attraverso una difficile e rigorosa sperimentazione. 
Interessandomi sia all'immagine fotografica che a quella cine-televisiva, mi fa particolarmente piacere parlare delle "Icone Catodiche" e delle "Auree" di questa artista francese che è riuscita a mettere in contatto mondi tanto diversi per dare dignità a persone ed immagini di cui, generalmente, nessuno si prende cura. Oltre ad essere una ricerca tecnica e concettuale, dai lavori di Corinne emerge un sincero amore per tutto ciò che la circonda e per quegli elementi privi di valore che altrimenti andrebbero persi per sempre.
Corinne impara le basi della ripresa iniziando a fotografare con una delle prime reflex digitali, la Fuji S1 Pro e, grazie ad un amico che le regala un ingranditore per il 24X36, si cimenta anche con la stampa chimica. In seguito, scopre la fotografia di grande formato (4X5 pollici) e si appassiona alla Polaroid. E' con questo strumento che si dedica ai transfer dell'emulsione. Corinne mischia il digitale alla Polaroid e non si nega nessun tipo di sperimentazione; le infinite possibilità del mezzo fotografico la spingono ad effettuare sempre nuove ricerche per esprimere in modo personale le idee che desidera mostrare attraverso i suoi lavori.
La tecnica di distaccamento dell'emulsione dalla carta da stampa (Pelliculage a jet d'encre) effettuata da Corinne Héraud è unica ed è molto aleatoria, bastano minimi cambiamenti nelle condizioni in cui si opera, o nella fabbricazione della carta che il risultato potrebbe non soddisfare le aspettative dell'artista.
Corinne Héraud è nata in Francia in un piccolo paese vicino a Lione. Prima d'arrivare alla fotografia, una quindicina d'anni fa, ha lavorato presso l'ufficio stampa di un'agenzia di marketing e come istruttrice di equitazione; io l'ho intervistata al MIA lo scorso aprile 2016 per capire meglio che cosa voleva ottenere ed il significato delle sue opere. T.G.

Aura 9, 2016 di Corinne Héraud


TG: Buongiorno Corinne, mi puoi raccontare qualcosa di te e della tua esperienza professionale?

CH: D'accordo, sono autodidatta e non ho nessuna formazione artistica. Lavoro da una decina d'anni con la fotografia e ci sono due cose molto importanti nel mio modo d'esprimermi. Principalmente, utilizzo dei procedimenti alternativi con l'idea di esprimere una fotografia dove accadano delle cose, degli incidenti. Per questo io posso lavorare partendo dalla fotografia digitale o da pellicole Polaroid scadute ed io metto sempre in opera una tecnica aleatoria per la stampa, per ottenere dei risultati che possano essere resi ancor più unici da eventuali imprevisti o sorprese di percorso. Per esempio, nella serie delle "Auree" alla base c'è una miscela di digitale e Polaroid; io ho effettuato dei trasferimenti di pigmentazione sulla carta per l'acquarello. Il principio è quello d'apportare un tocco manuale su ogni stampa, in modo che ogni stampa sia un'opera unica. Questa è una cosa che io considero molto importante nel mio percorso artistico.
La seconda cosa importante è che io lavoro con modelli che trovo sullo schermo televisivo, si tratta dei figuranti che fanno parte del pubblico dei talk-show, le persone che sono dietro gli invitati o i presentatori, degli anonimi. Soggetti che sono spesso la tappezzeria vivente che si trova lì per animare lo sfondo della scena. Quello che mi interessa in queste situazioni è cogliere i gesti; ruoto sempre intorno alla femminilità, ma può capitarmi d'osservare gli uomini, anche se generalmente mi soffermo di più sulle donne. Quello che mi interessa in questo percorso è di lavorare su questa specie d'ambiguità tra un'immagine televisiva che non ha più senso ed è destinata a scomparire e l'opera finale sulla quale io passo molto tempo con i miei procedimenti manuali. Mi piace tantissimo "nobilitare" questi ritratti satellite, nel vero senso del termine. Lentamente, con pazienza io restituisco una certa eternità a queste immagini che non erano destinate a niente.

TG: Quali sono le due serie di lavori che hai portato qui al MIA?

CH: Quelle di cui parlavo sono le "Icone catodiche". Sono lavori in bianco e nero con soggetti televisivi che ho iniziato a fare nel 2009. Ho impiegato una tecnica che ho chiamato "Rivestimento (Pelliculage à jet d'encre) a getto d'inchiostro" per dire che quando ottengo una stampa la immergo nel solvente, in modo da scollare l'emulsione della carta. Un po' come si faceva con i transfer Polaroid. E' un'idea che mi è venuta proprio dall'uso delle Polaroid, perché in un primo tempo io ho molto lavorato con le Polaroid. Adoravo quella tecnica ed è proprio grazie alle Polaroid se sono entrata nella fotografia "plastica" e artistica. Quando le pellicole a sviluppo istantaneo di Polaroid sono uscite di produzione mi sono messa alla ricerca di un nuovo metodo per riprodurre l'idea del trasferimento dell'emulsione: si può dire che io sono sempre alla ricerca di nuovi medium e soluzioni.

Icone catodiche di Corinne Héraud
Una delle Icone Catodiche di Corinne Héraud

TG: Hai dovuto fare molta sperimentazione per arrivare al risultato che ti eri prefissata?

CH: Eh, sì assolutamente. La mia tecnica funziona solo con un tipo di carta, ne ho provati 30 o 40 prima d'ottenere quello che volevo. E' stato un investimento un po' assurdo, ma alla fine ce l'ho fatta. Per me è stata una grande felicità perché con questa tecnica ho ritrovato il piacere di lavorare con le Polaroid con degli effetti di screpolatura che sono legati ai tempi di asciugatura, all'ambiente, all'umidità ed alla temperatura che c'è al momento della stampa. Ecco perché ti dicevo che tutto è aleatorio in questo procedimento fotografico alternativo.

TG: Trasferisci l'emulsione su un altro foglio di carta?

CH: Con il solvente ottengo come una pelle molto fine e fragile, la recupero su una carta giapponese ed è al momento dell'asciugatura che l'emulsione si ritira e che si formano le pieghe. Dopo di che questa carta sottile, per le Icone Catodiche, la stendo su un supporto di legno.

TG: Che tipo di stampa realizzi?

CH: Ottengo una stampa in bianco e nero con una stampante a getto d'inchiostro di grande formato  sulla mia carta speciale che poi trasferisco su un altro supporto.

TG: Sai se c'è qualcun altro che pratica una tecnica di questo tipo?

CH: Sinceramente, io non credo. Ad ogni modo, non ho incontrato nessuno che facesse questa cosa: è vero che io dipendo molto da carte che non sono fatte per un uso artistico ed è anche vero che il minimo cambiamento nell'emulsione può cambiare molte cose. Mi è già capitato che il mio fornitore abbia apportato lievi modifiche nella produzione che hanno avuto conseguenze sul mio modo di lavorare, al punto che potrebbe perfino rendere impossibile la realizzazione della mia tecnica. Evidentemente, essendo io l'unica persona che utilizza quella carta in quel modo la mia tecnica è soggetta a molte variazioni che non sono del tutto gestibili. Mi rendo conto d'essere un po' prigioniera di questo prodotto, ma questo fatto non è così grave perché il giorno che questo prodotto non funzionerà più  io mi metterò a cercare un'altra cosa.

TG: Le immagini ottenute in questo modo sono stabili nel tempo?

CH: Sì. assolutamente, nella misura i cui sono delle stampe realizzate con delle stampanti professionali Epson che utilizzano inchiostri pigmentati esattamente come quelli che sono vendute normalmente per il mercato dell'arte. In più, io aggiungo della pittura acrilica e delle verinici. Le mie stampe sono protette molto bene dagli effetti dell'invecchiamento e dai raggi UV.

TG: Come hai colorato le "Auras"?

CH: Per le "Auras" io lavoro il colore con Photoshop, si tratta pertanto di un trattamento digitale. Il mio lavoro in bianco e nero è andato naturalmente verso un'evoluzione che includesse il colore. Anche se il trasferimento dell'emulsione prevede che ci siano delle imperfezioni, è proprio per questo motivo che m'interessa. Così si capisce bene che non è una stampa che esce direttamente da una stampante e le imperfezioni stesse partecipano alla vita dei volti che sono proposti.

TG: Tra le due serie che hai esposto la differenza sta solo nella presenza del colore?

CH: Sta nel tempo che passa, ho voluto presentare una serie nuova che uscisse da quelle cose più buie che proponevo negli anni precedenti. Questa è la prima volta che presento le "Auras" e credo che la mia esigenza personale di lavorare col colore si sia fatta sentire in modo preponderante. Ho dovuto andare a tentoni per trovare il modo d'inserire il colore in questo nuovo lavoro che è diventato qualcosa che sento molto mio. Non è necessariamente più leggero delle "Icone catodiche", ma il colore adesso c'è!


Corinne Héraud e le sue Auras
Corinne Héraud, 45 anni, fotografa. Alle sue spalle le "Auras"

Puor lire l'interview avec Corinne Héraud en français sur ORPHO

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