mercoledì 28 ottobre 2015

Ecomostri e memoria

L'Ecomostro milanese messo a nudo in tutto il suo splendore 

L’Isola per quasi sessant'anni, nel periodo pre e post bellico, è stato un quartiere povero e industriale di Milano. Dopo il Garibaldi, ha subito negli ultimi cinque/dieci una rivoluzione urbanistica eccezionale, riportando in auge “la vocazione dinamica e modernista della città” di cui l'edificio di via Confalonieri soprannominato il Rasoio rappresenta l’ultimo e piu’ eclatante atto. Per quanto riguarda la vicenda di questa enorme costruzione coinvolta nel fallimento del suo ideatore, Ligresti, rimando all'articolo del Corriere…) L'autore sembra interessarsi solo al problema di facciata, evitando di entrare nel merito della questione speculativa, ma la lettura del testo è utile per conoscerne i retroscena. Per parte mia vedrò se la questione può essere affrontata da un punto di vista più generale.

Via Ferrante Aporti

E' rimasto affumicato dalle bombe
il muro fino all'Osteria. Macchie
su macchie lisce inosservate, senza
nomi, senza fiori. Nessuno lo sa.
Il vecchissimo oste passa e ripassa
e non mi vede, non mi chiede
cosa ci faccio in piedi lì fuori.

Mario Benedetti
(in Tersa Morte)

Fino a trent’anni fa, scendendo dal ponte Bussa per imboccare via Borsieri, si poteva ancora vedere una testimonianza, forse già allora l’ultima, di quelli che sono stati per Milano i bombardamenti. Incoraggiato dall’audacia di colui che considero uno degli ultimi geni artistici, Gordon Matta Clark (figlio illegittimo della signora Clark e del celebre surrealista Roberto), avevo concepito un lavoro che ne sottolineasse la presenza e in qualche modo ne cristallizzasse la memoria: un enorme muro alto quattro o cinque piani si abbatteva inclinato sui resti di una casa sventrata proprio all’angolo destro fra quella via e la Confalonieri (Fotografie 1 e 2). 

Fotografia n.1 di Federico De Leonardis

Fotografia n. 2 di Federico De Leonardis

Le superfici sconcie e derelitte, che testimoniavano la vita rimasta attaccata alle tappezzerie o alle piastrelle di ex cucine o cessi, il muro le avrebbe in qualche modo eternizzate, squillando una presenza indelebile a memoria delle distruzioni subite da Milano durante la guerra. Ricordavo la poesia di Malte1 e del silenzio da lui evocato a proposito dei muri sventrati nella Parigi dell'inizio del secolo scorso. Purtroppo non mi è stato consentito attuare il progetto e pochissimi anni dopo lo “sconcio” è stato cancellato da una nuova costruzione: un edificio a cinque piani nello stile anonimo dei nuovi palazzi sorti un po' dovunque in città negli anni della ricostruzione, questo però aspirante al “lusso”. Si sa, la pressione all’inurbamento non aveva cessato di premere a cancellare qualsiasi memoria sgradita alla sua ”vocazione dinamica e modernista”. La mia delusione fu grande: si fa sempre fatica ad accettare la realtà, malgrado la coscienza che le possibilità di spazi per le opere d'arte offerte dalla pubblica amministrazione (di destra o di sinistra che siano) sono sempre scarsissime. Comunque è giusto così: ubi major...
Torno alla mia passeggiata trent'anni dopo.
Triste viaggio attraverso un quartiere pur stato vivo: tutti ricordano il fermento sessantottino e degli anni settanta, in cui giravano per il quartiere spinelli e gruppi politici attivi nell'estrema sinistra e Stecche di volonterosi artigiani, abbarbicati alle mura dell'ex Brown Boveri, ti aggiustavano la bici con pezzi di ricambio raccolti chissà dove o ti rifacevano uno sportello per quatto sghei! Triste memoria di mio figlio architetto, partito per le americhe latine a cercare un nuovo possibile approccio al proprio mestiere (non lo vedo da quattro anni), ma consolazione almeno che, se gli sono state rubate le utopie dall’orda barbarica della speculazione selvaggia del liberismo senza freni, lui non ha visto lo scempio perpetrato.
Parliamoci chiaro fin da subito: io dico scempio e qualcuno non proprio a torto potrebbe accusarmi di nostalgia e pensarla esattamente all'opposto: il quartiere ha fatto un salto di qualità notevole, si è ripulito, le superfici di vetro hanno sostituito muri cadenti e case di ringhiera, il verde tutto sommato non manca, ragazze ben vestite e pettinate circolano liberamente e affollano i numerosi bar e ritrovi che hanno invaso i pianoterra. E tu cosa pretendi, che le città non si trasformino? La Parigi pre-Haussmann? La Milano dell’Adalgisa?
Sono cosciente di imboccare una strada in salita, di andare controcorrente: i tempi premono verso quella che io chiamo, un po' impropriamente lo so, una svizzerizzazione internazionale. Perché Milano dovrebbe essere diversa da Singapore, New York, Shangai ecc e del resto la vita si trasforma, stupido pensare di arrestarne l'andazzo e la città ne è lo specchio. Anzi, la differenza fra un nostalgico come me e un'archistar di oggi è proprio il successo e il mio discorso sa di invidia. Del resto anche la cultura storica mi dà torto: la Roma di Borromini e c/o per essere quella che è ha dovuto sventrare l’urbe paleocristiana, lasciando sopravvivere solo qualche basilica. Anzi, malgrado la pressione alla sua periferia dei palazzinari (il cui erede oggi ha pretese di Sindaco2), rimane la testimonianza unica al mondo di una coerenza urbanistica barocca e pazienza che orde del nuovo cancro (parlo del turismo naturalmente) cerchino di invaderla quotidianamente. Pazienza perché è ancora possibile godersi lì, fra un giubileo e l'altro, fra un expo e l'altro un'antica coerenza estetica: anche questa è memoria, centrale e non semplicemente centro storico.
Continuando la passeggiata per il quartiere mi veniva in mente la frase di un mio antico professore alla facoltà di Architettura di Firenze, Quaroni: “La città è come un uomo, non puo’ vivere senza memoria”. Come no, gentile Ludovico, forse che quello che è stato chiamato l'ecomostro di via Confalonieri non alloggerà felici futuri speculatori edilizi pronti a gentrificare3 altre parti della città? Morto un Ligresti se ne fa un altro: aspettiamo solo che il Galfa (ex proprietà dello stesso speculatore fallito, a due passi dall'Isola, svetta ancora il nobile esempio di un'architettura razionalista) arrivi a una decrepitezza tale da giustificare l'azione delle turbe di nuovi pescecani ansiosi del suo abbattimento per sostituirlo con un più alto e più redditizio grattacielo: un’altra fetta di memoria di autentica vocazione modernista della città sarà cancellata.
Ricordo un mio nostalgico viaggio di circa vent'anni fa nella Chicago di Sullivan e Richardson e la delusione di non riuscire a vedere gli edifici che solo pochi anni prima il buon Benevolo mi aveva propinato sulla sua famosa Storia dell'Architettura moderna: erano stati distrutti e sostituiti con costruzioni ancora più alte e più audaci. Nello stesso viaggio mi colpì pure incontrare a Filadelfia non più di cinquanta metri (sic!) di case (o semplicemente delle loro facciate?) di un'antica via: in mezzo alle nuove costruzioni esibivano ridicolmente lo scrupolo che all'ultimo minuto aveva colto gli americani a distruggere totalmente il ricordo visivo delle loro origini: la Nuova Inghilterra. Il Museo regge, mi sono detto, almeno quello regge, ma basta? Il museo è l'altra faccia della svizzerizzazione dilagante, la prova della cattiva coscienza della società occidentale: dove si distrugge, si conserva un resto bell'impachettato e illuminato e turbe di vecchietti in pensione in cerca di “emozioni tardive” renderanno l'investimento redditizio. Sic transit gloria mundi.
All'Isola (abito ai suoi margini, a Nord) la domenica sera frequento, in uno “squallido” e anche lui nostalgico Arci di Via De Castilla (Metissage), un cineclub digitale, Zarbo d'essai (il cui nome ricorda, rovesciato, il celebre Obraz di Eisenstein e dopo di lui il non meno favoloso cineclub del quartiere Garibaldi, morto per sfratto negli anni novanta – pare che questa pratica colpisca come un virus un po' dovunque, vedi l'Apollo e prima il De Amicis), diretto da uno “squallido” e nostalgico ex sessantottino, Nereo Rapetti (ottimo fotografo che ci propina pellicole nuove e vecchie spesso di notevole interesse). E' opportuno qui ricordare che proprio da via De Castilla, a ridosso della stazione Garibaldi, si accede alla famosa piazza dedicata a quel pessimo architetto che ha firmato il restauro di una piazza milanese (ma a Milano esistono piazze e non solo spartitraffico?) a sua volta dedicata a un famigerato assassino di popoli, Luigi Cadorna: tutto si tiene. 

3 La Casa della Memoria, sullo sfondo Unicredit Tower e Bosco Verticale 

La frequentazione domenicale di cui parlavo mi ha permesso di vedere in pochi anni moltiplicarsi in altezza il cemento, rosso, della Casa della Moda (Moratti) (Fotografia 5), quello giallo della sede dell'Apple (Pisapia), restiling (neologismo di FDL ndTG) degli ex grattacieli Perotta delle Ferrovie Nord e infine, coperto da un enorme cartellone pubblicitario (della Unipol), l'edificio di ligrestriana memoria.

4 Incombenze

5 Restyling dei grattacieli delle Ferrovie.
 Progettati dall'arch. Perotta negli anni di Craxi; a destra in basso (non inquadrato ndTG) l'ingresso dell'Arci Metissage.


 6 Unicredit Tower, Cortiletto 

En passant, il senso di soffocamento dovuto al restringersi progressivo di qualsiasi dimensione spaziale che non fosse la verticale non mi ha impedito di immaginarmi un po' malignamente la sorpresa degli inquilini della palazzina Borsieri Confalonieri, che ha annullato il mio antico sogno di scultore, a vedersi restringere giorno dopo giorno l'angolo di cielo così faticosamente conquistato nell'ex Isola.

7 Le "cassettiere" del Bosco Verticale di Boeri svettano come funghi

8 Il Bosco Verticale di Boeri

Pis par ti, te la sei voluta, piccolo borghese con quattro soldi in tasca, anche se oggi il tuo investimento è moltiplicato dallo svettare come funghi (è il caso di usare questo sostantivo, vista la velocità con cui sono sorte) le cassettiere di Boeri. Ma tirem innanz. Con 150 anni di ritardo l'angolo di una mini New York riviveva attorno a me sottolineato dalla mesta presenza di un nespolo che resiste caparbio alla chiusura dei cieli (Fotografia 8).
L'uomo a una dimensione fa strage dei consimili, il Cromagnon estingue il Neanderthal. E i nostalgici, a  parer mio.

9 Il nespolo semi-soffocato dai nuovi palazzi

10 L'ecomostro abbandonato nel bel mezzo di quello che poteva essere un piccolo polmone verde per un quartiere che negli ultimi tempi ha subito ogni genere di "trasformazioni"
(didascalia di TG)

Ma concludiamo. Francamente, non capisco perché prendersela tanto con l'ecomostro di Ligresti, quando convive con altrettanti anonimi rappresentanti, verticali o miseramente seduti, verdi o gialli che siano, di un'architettura che ha perso il senso della bellezza e si è ridotta a essere semplicemente volume, quando non mera facciata, in un contesto urbanistico senza alcun disegno di insieme. Per essere precisi, senza un Piano. Il fatto che la lezione di Borromini e di Sisto V si sia ridotta a museo per il turismo mondiale, che altrettanto, se non ancora di più, la vita abbia disertato città come Venezia e Firenze è grave, ma che l'architettura contemporanea dimostri una memoria ancora più corta e faccia fatica a ricordare che esisteva un tempo non lontanissimo che permetteva a un Le Corbusier di produrre delle utopie urbane è semplicemente catastrofico. I buoi sono irrimediabilmente scappati e andarli a cercare un inutile esercizio. Federico De Leonardis

11 Come interpretare un'immagine pubblicitaria: il Rasoio di Ligresti mascherato dalla Giunta Pisapia con un altrettanto mostruoso cartellone, guarda caso, degli amici banchieri di Unipol
(didascalia di TG)


Da via Federico De Confalonieri

Note:

1. ”Case? A esser precisi si trattava di case che non erano più là. Case demolite in tutta la loro lunghezza. Quelle rimaste erano le altre, le case accanto, le alte case vicine; esposte certo al pericolo di crollare, da quanto si era tolto loro ogni sostegno – perché tutto un'apparato di lunghi pali incatramati si stendeva diagonalmente tra il terreno ingombro di macerie e i muri denudati. Non so se ho già detto che è a questi muri che intendo riferirmi; non però al primo muro delle case rimaste (come si potrebbe ancora supporre) – ma all'ultimo delle scomparse. Si scorgevano, ai diversi piani, pareti a cui ancora aderiva la tappezzeria; qua e là, l'aggetto del pavimento o del soffitto. Correva lungo le pareti, per tutta la lunghezza del muro, uno spazio bianco-sporco, attraverso il quale si svolgeva, con sconce spirali da verme, simile a un intestino, la conduttura rugginosa e scoperta delle latrine. Sulla cornice dei soffitti i tubi del gas illuminante avevano lasciato grigie tracce come di polvere... La vita tenace delle stanze non si era ancora lasciata sopprimere”. (Rilke tradotto da Giorgio Zampa)

2. Alfio Marchini
     
3. Il termine urbanistico è nuovo, significa grosso modo un'operazione di quei piani regolatori che promuovono al centro l'insediamento esclusivo di edilizia residenziale di lusso, che a sua volta, automaticamente, favorisce l'allontanamento in periferia delle classi povere e medie per una maggiore valorizzazione delle aree. Il processo procede automaticamente, e la separazione delle classi di reddito è sempre più netta.


Via Federico De Confalonieri

Tutti i diritti riservati. Testi di Federico de Leonrdis Fotografie FDL e TG
  

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